Caldo. Molto caldo. La mia mente lo associa a Venezia. Biennale d’Arte Moderna. Ho voglia di andarci. Non in questo periodo.
Poi scatta un’altra associazione di idee: panni stesi.
Poco prima dei Giardini della Biennale, se si raggiunge l’esposizione a piedi, si vedranno questi famigerati indumenti stesi ad asciugare.
Ovviamente la composizione varia, ma il ricordo del filo steso tra due palazzi, con dei capi di vestiario appesi, è un’immagine nitida. Un ricordo vivo.
Più delle opere esposte, più degli artisti presenti, quei panni sono entrati nel mio immaginario, e in questo pensiero semplicistico, mi domando se l’immagine di quella calle, così nitida e prepotente, sia dovuta alla bellezza del gesto semplice, e comune a tutti. Inoltre mi chiedo se l’Arte esposta nella sua massima espressione, in questo strano confronto, ne esca sminuita tanto da risultare inutile.
Ma è proprio nell’inutilità che risiede lo scopo ultimo dell’Arte.
E come Nan-bo Zi-qi che, trovandosi al cospetto di un albero imponente, chiedendosi a cosa potesse servire avendo questi un tronco nodoso inutilizzabile per costruire bare, e rami tanto curvi e nodosi da non poterli usare come travi o tetti, posso solo esclamare “Quest’albero è davvero inutilizzabile! Per questo ha potuto raggiungere tale altezza. Già! L’uomo divino è anche lui null’altro che legno inutilizzabile!“[1]
Note: [1] Zhuang-zi, Adelphi 2013, pag.46, a cura di Liou Kia-hway