parlo di lei

Parlo di lei in quanto lavora nello stabile in cui sono impiegato. Parlo di lei perché quel suo modo di “esprimersi” ha innescato una serie di domande che, nel tempo, hanno prodotto in me riflessioni e decisioni significative.

Osservare gli altri è un veicolo per indagare sé stessi, dicono, e lei, di cui non conosco nome né età, rappresenta un ottimo specchio su cui riflettere/riflettermi.

Due anni circa è lo spazio temporale di questa “conoscenza” virtuale. Due anni in cui, salvo rare eccezioni, non son o riuscito a cogliere il suo sguardo.

1) indossa sempre occhiali dalle lenti fumé

2) i suoi occhi sono incollati al telefonino

L’osservo scendere dall’automobile con lo smartphone incollato al palmo come fosse un prolungamento del suo corpo. La sua attenzione è tutta raccolta lì, su quella mano. Snobba la portiera quando la chiude, né presta attenzione alla strada mentre l’attraversa – per fortuna la via è cieca e transitano pochi veicoli. Percorre il tragitto digitando compulsivamente, e sale le scale, gradino dopo gradino, sempre con gli occhi puntati sul piccolo schermo.

A memoria, credo di averla guardata tre volte negli occhi in questi due anni: piccola concessione da parte dello smartphone.

Osservandola, ho indirizzato l’attenzione su me stesso. Quante volte, inconsciamente, ho allungato il braccio in cerca del telefono alla ricerca di conferme ?! Quanto tempo spreco alla ricerca dell’insignificante e quanto permetto a certe piattaforme di deformare la mia personalità?

Osservarla mi aiuta ad analizzarmi, e agire di conseguenza. Imparo a staccare la connessione dalla rete, e a fare una drastica pulizia del web inutile.

E grazie a lei capisco quanto possano essere tossiche certe relazioni, che si riferiscano a un compagno/a, a un rapporto lavorativo, o sostanze varie.

Lei mi mostra cosa sia l’alienazione e, per ricordare a me stesso quanto sia più elettrizzante la realtà, prima di entrare in atelier alzo lo sguardo sulle Dolomiti e fischio i cani al di là della strada che, felici o infastiditi di vedermi, abbaiano senza ritegno.

P.S. ho battezzato i miei vicini canidi “i 4 cavalieri dell’Apocalisse” perché, quando sfreccia un ciclista, si lanciano in una cavalcata fiera e imperiosa.

Qualche giorno fa è mi è capitato un fatto singolare

Qualche giorno fa è mi è capitato un fatto singolare che ha confermato un’idea che mi frulla in testa da un po’.

Vendo una batteria per macchina fotografica tramite un portale. Prenoto il ritiro per la spedizione, e il corriere tarda di un giorno per il ritiro (sarebbe dovuto presentarsi il venerdì ma passa solo nel tardo pomeriggio di lunedì – sabato e domenica non li conto). Nonostante ciò, il pacco al mattino di martedì è già dalle parti di Salerno e, essendo partito dalla provincia di Belluno, è una cosa assai incredibile. Nel mezzo tra partenza e arrivo mi becco una serie di messaggi dell’acquirente perché teme di essere stato truffato. Per fortuna la batteria arriva, e il tutto finisce bene con soddisfazione da parte di entrambi.

A sorprendermi, oltre alla velocità con cui il pacco ha viaggiato, è l’impazienza dell’acquirente. Questo nuovo modo di acquistare on-line ha “asfaltato” pazienza e lentezza. Non importa che il prodotto sia importante o una cianfrusaglia, l’obbligo è che arrivi subito altrimenti chissà cosa può succedere.

E così nella mia testa mi frulla l’idea che l’unica vera rivoluzione concreta di internet è quella di averci trasformato in consumatori alienati, e insofferenti. L’attesa è divenuto un fastidio, e ad avvalorare ciò mi basta leggere molte recensioni di locali pubblici in cui si critica la lentezza nel servire il piatto in tavola (come se le pietanze non avessero bisogno di essere cucinate e dietro non ci fosse il lavoro di una o più persone).

Internet ci sta privando dell’attesa, e delle riflessioni che ne scaturiscono, ingabbiandoci all’interno di algoritmi capaci di scovare i nostri punti deboli. Ci sta ingannando con la promessa di renderci “importanti” grazie ai nostri commenti, e ai desideri esauditi a portata di clic. Ci sta trasformando in esseri passivi in una realtà virtuale.

Nell’ultimo periodo queste, e altre riflessioni, mi hanno portato a rivalutare il mondo di internet e il comportamento dell’essere umano. A volte mi scopro di essere radicale nei giudizi e nei pensieri ma, proprio grazie agli aspetti più estremi, riesco a cogliere più sfumature e meditare.

Ho bisogno di lentezza e realtà concreta, e credo siano due aspetti avulsi a internet.


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Nella mia routine

Nella mia routine l’ascolto della radio non manca mai. Radio Marilù è la stazione preferita per la musica; Radio 3 e Radio Radicale per informazione e cultura (un tempo mi dilettavo con Radio Popolare); Radio 1 in prevalenza per sintonizzarmi su Tutto il calcio minuto per minuto perché lo considero un programma utile da cui prendere spunti da utilizzare nel momento in cui scriverò un articolo sportivo. La radio, per sintetizzare, mi accompagna sempre, anche mentre sono al volante. Tipo ieri sera, mentre rientravo da Treviso, al giornale radio regionale passa una notizia: ragazza 29enne trovata morta in una camera d’albergo; possibile causa: overdose da sostanza stupefacente.

La mia mente ha ricreato all’istante una stanza dalle pareti color crema, stessa tinta per lenzuola e tende. Una finestra da cui filtra una pallida luce mattutina. Una sagoma indistinta adagiata in malo modo sul letto. Poi compare la figura dell’albergatore – chissà perché lo immagino maschio. Lo vedo con il ventre un poco gonfio (magari a causa di qualche ombreta di troppo), leggermente calvo, fermo sulla soglia con una mano sulla fronte. Il suo primo pensiero sarà stata una bestemmia, dovuta alla trafila burocratica per la situazione così estrema, oppure un’esclamazione tipo puàreta? È una domanda lecita, quanto le sue possibili reazioni. Poi la mia attenzione si focalizza su lei. Mi chiedo se fosse consapevole di andare incontro alla morte in un’anonima stanza d’albergo, o se fosse solo alla ricerca di un luogo appartato per placare momentaneamente i demoni che le divoravano l’anima. Sono quesiti a cui mai avrò risposta, e nemmeno mi interessa. A volte è poco importante.

Di questa triste notizia mi ha colpito la ricerca di un luogo asettico, lontano da sguardi indiscreti, per trovare una pace ultima, o effimera. È un comportamento tipico del mondo animale quello di rintanarsi in una zona buia e nascosta per esalare l’ultimo respiro. Un comportamento dignitoso, e oserei dire venato di poesia.

La mia affermazione farà storcere il naso a molti/e perché, a primo acchito, pare sminuire il dramma. Non è così. In quella ragazza, di cui nemmeno conosco il nome, leggo una profonda solitudine e un bisogno disperato di placare, come ho detto in precedenza, i propri demoni. È nella disperata ricerca di serenità, e di un luogo adatto a esprimere il dolore strisciante, che scorgo poesia. La stessa poesia capace di farmi provare del profondo rispetto per un’anima che solo attraverso la morte è riuscita a raggiungere la pace agognata.


classica espressione veneta per indicare un bicchiere di vino, da non confondersi con il calice

traduzione: povera


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