SPALANCATI AI MIEI OCCHI

E se mi chiedi di incanalare le energie

spalancati ai miei occhi

e lasciati leccare.

Da tempo immemore queste labbra

reclamano i tuoi sapori.

Perdonami, il desiderio romantico poco mi si confà,

preferisco languire tra ruvido sporco

e oscena quotidianità.

Ho l’anima carnale e il membro etereo,

e un desiderio lascivo di riempirti la bocca

con sconce verità.

Alessandro Chiesurin – Spalancati ai miei occhi (Viscerotica, 2021)

Spalancati ai miei occhi è presente in Viscerotica nata di getto come lo è la passione bruciante. Spero vi piaccia e vi inviti a scoprire Viscerotica.

Che sia per il profumo

Che sia per il profumo umido della pioggia, o per il lieve baluginio dei primi raggi solari ad accarezzare i monti, il mattino riserva sempre un lungo istante speciale.

Nel mio tragitto incontro lepri, caprioli, a volte cervi e, quando sono fortunato volpi e tassi. E le gazze? Sono ovunque con la loro irriverenza, per non parlare degli stormi di gracchi spudoratamente ciarlieri.

Tutto ciò è bellezza, ma non tanto affascinante come passeggiare o correre sotto la pioggia.

È una sensazione benefica. Ti sciacqua i pensieri rigenerando il corpo.

In ogni stagione faccio almeno un’uscita sotto la pioggia senza riparo alcuno e, se stai leggendo queste righe, ti invito a farlo. Giusto per amarti un po’.

(continua sotto l’immagine)

ADOTTA UN POETA

Proprio così, adotta un poeta o, per meglio dire, uno ei suoi componimenti. Un libro non sporca, non devi farlo uscire per fare i bisogni, e non o devi nemmeno sfamare! Anzi, ricambia la fiducia donandoti emozioni.

E allora, cosa aspetti? Adottami!

I miei componimenti li trovi a questo link: Amazon.it : alessandro chiesurin oppure puoi chiedermi di niviarti una copia direttamente a casa

autogestione

[...]
E nelle riviste rivoltose
autogestite, contro
lo sfruttamento della massa
opraia, succulenta
carneficina dal sapore rétro,
scopro arti artrofizzati
autodeterminati a sfamarmi;
divoro prese di coscienza.

Alessandro Chiesurin - versi conclusivi di "autogestione" tratta da Viscerotica (2021)

Autogestione è la posia d’apertura di Viscerotica. Versi che sintetizzano e legano tutto il progetto della silloge, dalla copertina al componimento conclusivo.

Viscerotica è disponibile in ogni portale di vendita libri, la si può ordinare in libreria, la si può richiedere al sottoscritto. E se vuoi ti faccio pure una televendita stile Freud di Nanni Moretti.

Seta

Scritta in un pomeriggio nevoso, Seta racconta dei silenzi indagatori; delle vertigini nate nei propri pensieri; della bellezza nello sfiorarsi.

Scrissi questi versi ripensando a uno sguardo femminile lontano nel tempo. Uno sguardo perduto, mai scordato.

SETA

È nella lucidità specchiatasi nell’iride

se riesco a compitare frasi e ragionamenti

di forma compiuta.

per giungere a ciò

faticai arrovellandomi tra stupidi demoni insaziabili,

e pensieri preconfezionati saccheggiati

alle ignave passanti.

Ho tessuto una trama talmente fitta

negandomi ogni min imo spiraglio di sole,

guadagando, al contempo, chiarezza in punto croce.

Se nelle giornate morte sembro spento,

non straziarmi l’anima.

Rammenta di quando confezionammo

questo nuovo stato

intessuto di piacevoli ricordi. Quel giorno

la neve si fece fitta, e il tuo sorriso candido;

il fuoco lambiva le vesti,

e le mie carezze per te erano seta.

Alessandro Chiesurin – Viscerotica

Seta è presente in VISCEROTICA, disponibile in tutte le piattaforme di vendita libri. Oppure puoi chiedere una copia con dedica compilando il modulo CONTATTI.

Photo by Alexander Krivitskiy on Pexels.com

La nuda luna risplende sconcia

La notte ha il fascino femmineo dell’imprevedibilità. Come la donna più seducente, regala momenti di pura passione ad altri di totale distacco.

E poi c’è la luna, presenza ammaliatrice ammaliatrice e incantatoria, seducente e distante.

La nuda luna risplende sconcia nasce da questi pensieri. Mi auguro vi piaccia e susciti curiosità verso il mio lavoro.

LA NUDA LUNA RISPLENDE SCONCIA

La nuda luna risplende sconcia per la mia voluttà

e il firmamento, laido giaciglio

si fa manto scurrile.

La notte va spogliata

inutile negarlo, e con fare malandrino

l’accarezzo baciandole le cosce.

Voglio imprimere la vastità della volta celeste

in un teneue pensiero;

e poi ingoiarlo.

Assaporare il suo gelido calore invernale,

e saziarmi.

Occhi notturni bisbigliando alla mia oscenità,

lascivi.

Ho denudato la notte, lo confesso,

ingoiando ogni singola stella in questo unico amplesso.

i miei occhi

Stamattina guardavo i miei occhi allo specchio. E nello scrutarli, oltre al verde acqua intenso, leggevo i pensieri annidati nell’iride.

Non sono un tipo da autocelebrazioni, sarei più propenso a rimanere defilato o a non prendermi mai sul serio (è un modo per rimanere coi piedi per terra, e per scansare paure e timori), comunque, leggevo i pensieri attraverso il filtro dell’iride, e mi sono detto: «hai creato qualcosa di bello, e di diverso» – riferito al mio ultimo libro: Viscerotica.

Prima di investire tempo e denaro in questo progetto ho rifiutato 4 proposte da parte di case editrici, l’ultima in ordine cronologico specializzata in poesia italiana e internazionale, perché due erano indecenti, le altre perché non soddisfacevano a pieno le mie esigenze.

Ci crediate o meno, ho dedicato tre anni a questo piccolo e intenso volume, modificando versi e scartando poesie che, a ben vedere, erano poco inerenti all’idea primigenia.

Sì, i miei occhi dicevano questo stamane, e narravano di come sia giunto a pubblicare un simile lavoro attraverso travagli e pensieri messi a nudo.

Viscerotica è nata in un periodo, uno dei più intensi e dolorosi [lavorativamente parlando].

Ero impantanato in un lavoro in cui subivo mobbing e, ciliegina sulla torta, mi sentivo con una persona che, inconsapevolmente, mi “impediva” di essere me stesso. Un ex rappresentante sindacale sottomesso a lavoro, e in procinto di rotolare verso una storia che lo stava per soffocare… niente male come premessa per un nuovo lavoro letterario!

Viscerotica è nata lì, nel momento in cui mi sono detto «mai più» e, guardandomi allo specchio come ho fatto stamane, ho lasciato liberi i pensieri, le paure, i disagi. E in quel marasma che vorticava nella mia testa è uscito un unico suono: Viscerotica.

È nato prima il titolo, poi la “letteral-cosa” che conclude il volume. È nato il bisogno impellente di riprendere energie, ed esternare ciò che, fino al punto di rottura, avevo tenuto soffocato e represso.

E da questo inizio doloroso, e intenso, settimana dopo settimana sono venute alla luce poesie che parlano di sessualità, e di corporalità. Di sentimenti denudati, e di desideri urgenti.

Viscerotica è una silloge sul desiderio maschile (il mio lato maschile), e sulla carnalità perché, lo si accetti o meno, è nella carne che il desiderio si manifesta, e si fa concreto.

Il desiderio si fa carne, che a sua volta si fa poesia; la poesia si fa me, che a mia volta mi faccio sensualità.

I miei occhi verde acqua dicevano tutto ciò stamane, e potrei sintetizzare questa serie di pensieri con un’unica parola: Viscerotica.

P.S. e tu hai letto Viscerotica? Clicca qui sopra e ti spedirò una copia direttamente a casa!

i miei occhi

Viscerotica

Il nuovo libro di Alessandro Chiesurin

Viscerotica, con le sue poesie, racconta il rapporto di coppia fatto di eccessi, e sfumature. Con versi dolci e delicati, sfrontati e passionali, Viscerotica ti accompagna nell’erotismo morbido e sensuale per mostrare ciò che a volte desideri, ma non osi confessare.

Viscerotica è il lato raffinato del proibito e, poesia dopo poesia, ti seduce l’anima.


Immagina di spiare attraverso il buco della serratura.

Un brivido ti pervade la schiena, e la paura d’essere scoperto/a ti eccita tanto quanto l’ammirare il proibito.

Viscerotica è l’occhio che si dilata nello scoprire il segreto di ciò che gli è sempre stato negato.

Viscerotica è lo sguardo sull’istante in cui desiderio e curiosità si fondono in un unico caloroso abbraccio.

Viscerotica è la silloge della carne e del desiderio; della decadenza, e della passione.

Leggila, e il tuo sguardo su erotismo e poesia scorgerà nuovi orizzonti!

Scrivimi per ricevere una copia personalizzata!

Viscerotica, il nuovo libro di Alessandro Chiesurin, con le sue poesie, racconta il rapporto di coppia fatto di eccessi, e sfumature. Con versi dolci e delicati, sfrontati e passionali, Viscerotica ti accompagna nell'erotismo morbido e sensuale per mostrare ciò che a volte desideri, ma non osi confessare.
Viscerotica è il lato raffinato del proibito e, poesia dopo poesia, ti seduce l'anima


Viscerotica, il nuovo libro di Alessandro Chiesurin, con le sue poesie, racconta il rapporto di coppia fatto di eccessi, e sfumature. Con versi dolci e delicati, sfrontati e passionali, Viscerotica ti accompagna nell’erotismo morbido e sensuale per mostrare ciò che a volte desideri, ma non osi confessare.
Viscerotica è il lato raffinato del proibito e, poesia dopo poesia, ti seduce l’anima. [CONTINUA]

Quando ho aperto il blog

Quando ho aperto il blog le aspettative erano pari a zero, quanto lo sono ora. Ero mosso dalla curiosità di scoprire come avrebbe reagito il lettore/lettrice ai miei scritti, e non tanto da quanto sarebbe stato il traffico giornaliero (i profili che mi seguono sono sempre stati pochi, e i numeri del blog viaggiano di conseguenza).

Nonostante ciò, le persone virtuali conosciute superficialmente in questo spazio sono state preziose (breve parentesi:  il volto della maggior parte di voi mi è sconosciuto, e tantomeno vi ho stretto la mano o guardato negli occhi. Per me siete entità virtuali di cui conosco poco o nulla, non offendetevi. Magari prima o poi ci faremo un caffè assieme e potrò finalmente associare alla vostra persona  un ammasso di carne destinato alla caducità) perché ognuna, col proprio sguardo sul mondo, mi permette di rileggere i miei pensieri con spirito critico rinnovato.

È capitato mi scontrassi con qualcuno/a per “difendere” il mio sentire ma, a ben pensarci, è stato un atteggiamento sbagliato in quanto non ho avuto la capacità di immedesimarmi nell’altro/a. Altre volte invece, da un semplice pensiero, sono scaturite riflessioni capaci di stimolare la mia creatività.

Nel bene e nel male se questo blog va avanti a singhiozzi è anche merito vostro. Perché avete la capacità di ritagliarvi del tempo per leggere ciò che scrivo. Perché a volte “osate” interagire. Perché non siete mai scontati/e e/o banali (mi correggo: quasi mai, c’è sempre l’eccezione che conferma la regola). Bene, ora appoggio il violino e inizio col cazziatone, e se ti va di leggerlo, clicca QUI SOPRA

Storia di Lina

Ieri mattina ho bevuto un caffè, scambiando qualche chiacchiera, in un’osteria che stasera chiuderà in modo definitivo dopo una storia lunga 100 anni.

Ho scritto un articolo che parla di Lina, e di come siano destinati a spegnersi i piccoli paesi di montagna.

Se volete conoscere la storia di questa ragazza potete leggere l’articolo cliccando QUI

Caldo Natale

Lo spirito natalizio è qualcosa di distante da me per tanti motivi. Comunque, per augurarvi delle feste speciali, vorrei condividere questo racconto scelto dalla redazione di Letteratura Horror per la raccolta intitolata Natale horror 2018.

Auguri a tutte e tutti, e buona lettura! 🙂


CALDO NATALE

A Riccardo l’atmosfera natalizia piace. Coi ricordi ritorna alle veglie ansiose in compagnia della sorella. Le corse fuori dal letto. I pacchetti adagiati ai piedi dell’albero. Sono momenti indimenticabili.

«Amore» sussurra Riccardo all’orecchio di Sonia per non farsi sentire dal figlio «voglio che questo Natale sia magico per Carlo. Voglio sia una serata indimenticabile per lui, come lo erano per me».

La moglie gli accarezza il viso e con lo sguardo dice, lo sarà.

«Ecco i primi ospiti» dice Sonia «qualcuno s’è appeso al campanello e pare divertirsi con questo scherzo snervante».

«Zio Utavo» dice Carlo battendo le mani felice per l’arrivo dello zio e per le burlate che solo lui apprezza. Trotterellando incerto nei suoi due anni e mezzo va con la madre alla porta.

«Ecco la mia scimmia» dice lo zio ancora attaccato al campanello. Prende tra le braccia il piccolo e lo fa roteare sopra la propria testa diverse volte; poi lo lascia alle attenzioni degli altri famigliari. Tutti arrivati con puntualità allarmante.

«Per stavolta passi» dice Sonia dando un buffetto sul gomito a Gustavo «ma non farlo più. Ultimamente la piccola fa le bizze ogni notte ed è impossibile chiudere occhio. Se Sabrina dovesse svegliarsi ci pensi tu. Uomo avvisato mezzo salvato!». L’uomo brontola, poi sorride. Sarà un piacere cullarla, pensa.

Cappotti, sciarpe e guanti usati per proteggersi dalla neve vengono ammonticchiati sulla panca d’ingresso, e la famiglia si raduna nella taverna riscaldata da un fuoco vivace e scoppiettante.

«Se qualcuno mi dà una mano fra poco si mangia» dice Sonia facendo segno agli ospiti di sedersi, e Riccardo, stappando la prima di una lunga serie di bottiglie di vino, inizia a servire bicchieri a destra e a manca. Le donne, solidali nel rifocillare gli stomaci vuoti, danno una mano alla padrona di casa servendo i piatti e le pietanze preparate in precedenza.

Allo scoccare delle 20.00 tutti sono seduti al proprio posto pronti per iniziare l’abbuffata. Vengono distribuite pietanze per palati sopraffini, e per stomaci meno delicati. Si svuotano bottiglie con rapidità fulminea, e risate e chiacchiere si susseguono con gioiosità festante.

«Porta a letto la scimmietta» dice Riccardo guardando Carlo ormai ciondolante. Lo prende dolcemente tra le braccia e si avvia al piano di sopra. «Meanote» dice il piccolo senza aprire gli occhi, ricordando così la promessa al padre. Questi gli dà un bacio sulla fronte e risponde meanote. Lo mette sotto le coperte e controlla Sabrina. Dorme beata succhiandosi il pollice.

I dodici rintocchi segnano il momento atteso. La porta della taverna si apre. Carlo entra battendo le mani. «Meanote!».

Le risate sguaiate dei presenti danno al bambino la scusa per saltellare sul posto.

«Fate piano» dice Sonia indicando con il dito il piano di sopra. Si alza felice per la contentezza del figlio, e va a controllare il sonno della piccola.

«Riccardo! Sabrina non c’è più». Il volto sfigurato dall’angoscia l’ha invecchiata di dieci anni in pochi secondi.

Riccardo, balzando dalla sedia le chiede se sia sicura, Magari la bambina è nascosta sotto le coperte. Si muove sempre durante il sonno. Magari…

«Fledo» dice Carlo additando il fuoco nel caminetto «Aina fledo».

Nel marasma generale l’intera famiglia si precipita fuori. Forse la piccola è caduta di sotto. Forse la finestra era aperta. A tre mesi come potrebbe salire sul davanzale, dice Gustavo cercando di far ragionare i presenti. E la neve immacolata ai lati della casa fuga ogni dubbio. La piccola è ancora in casa.

Frugano ovunque. Dentro ogni armadio, sotto ogni letto. Passano in rassegna ogni mobile o pertugio. Di Sabrina nessuna traccia.

«Hai lasciato sul fuoco qualcosa?» chiede zia Ernestina. Ci manca solamente scoppi pure un incendio, pensa preoccupata.

«No» dice Sonia terrorizzata girandosi verso il marito.

«Aina fledo, buò atale» dice Carlo battendo le mani. E saltellando sul posto, indica la stufa con il portello dimenticato aperto.


Ehi! Ho altri racconti da farvi leggere, cliccate QUI

E la poesia vi piace? Si? Bene, cliaccate QUI allora!

Indossatrice

Indossatrice, vincitrice del 2° premio al Trofeo Gatticese della Arti 2017, è tratta dalla silloge Di luce e di oscurità.

Amo questa poesia per: la malinconia, la sensualità, la sintesi. Spero vi piaccia. Mi auguro vi avvicini alla mia poetica, e alla mia prosa.


Vestirai ancora

la tua scialba bellezza,

o ti spoglierai

di tutte le bugie?

Sfoggi ovunque

un malinconico sorriso

illudendoti che l’amore

sia un sospiro passeggero.


Indossatrice, come dicevo poco prima, è presente nella mia silloge Di luce e di oscurità. È possibile trovarla in rete, oppure chiedere una copia al sottoscritto, cosa che mi farebbe molto piacere 🙂


Lillian Bassman. 1951
Lillian Bassman – 1951

Allegati

Amiche e amici, oggi voglio presentarvi il racconto Allegati scelto per far parte di un’antologia edita dal sito BraviAutori, e legata al concorso Brevi Autori.

Il tema del racconto da inviare era a discrezione dell’autore, salvo per il limite di lunghezza da rispettare (con una tolleranza del 10%): 2500 battute. È stimolante creare una storia efficace con poche parole a disposizione, ti spinge a eliminare il superfluo e a valorizzare il poco a disposizione. Provare per credere.
Il mio racconto, Allegati, lo definirei macabramente comico. Altro non aggiungo, già di per sé dura un battito di ciglia. Spero di strapparvi qualche sorriso. Buona lettura!


ALLEGATI

allegati

Stasera potremmo farci una pizza, disse Alberto. Gianluca gli piombò a casa con farina, mozzarella e pomodoro. S’impossessò della cucina, e sfornò pizze per l’intera masnada. È fatto così Gianluca. Prende tutto alla lettera. E poi ci fu la volta di Arturo. Se ne uscì con la frase: parcheggia vicino all’ingresso non ho voglia di camminare. Gianluca entrò nel bar con l’automobile, e alla domanda in tono poco accomodante di Arturo su cosa avesse in testa, rispose: capelli che altro sennò.

Inoltre posso dirvi che Gianluca, fino a tre mesi fa, viveva con Sara. Poi, a volte capita, qualcosa nel rapporto s’è incrinato (per l’elenco dettagliato delle cause vedasi allegato A) e Sara ha iniziato a frequentare Valentino, un tipo casa e chiesa. Tra sotterfugi e incontri clandestini, gli amanti si diedero alla pazza gioia finché Gianluca li colse con le brache calate. Ebbero inizio le solite scaramucce. Urla. Spintoni. Scenate isteriche. Pianti a fontana. Passato il fisiologico momento di trambusto emotivo, Gianluca e Sara si separarono in pace scambiandosi la mano. Suggellarono l’addio amichevole con baci schioccanti sulla guancia. Lieto fine? No. Mica si termina una storia d’amore in poche righe. I due ex conviventi si erano scordati Paco, il bastardino salvato dal canile. Il piccolo bambino adorato di mamma e papà. Ce lo dividiamo a turno, disse Sara prima di rendersi conto dell’enorme (si perdoni il francesismo che seguirà, ma è doveroso) cazzata pronunciata. Raggiante, Gianluca si avviò alla sega circolare. Addormentò Paco imitando Giucas Casella con le galline e… (per l’elenco dettagliato degli elementi splatter vedasi allegato B). La vicenda, dopo il tragico evento di Paco, piombò in un nuovo caos (per l’elenco dettagliato degli sviluppi successivi vedasi allegato C).

Stamane, dopo settimane di assenza, ho rivisto Gianluca. Ascia in spalla. Dove te ne vai così sorridente, gli chiedo. In ufficio oggi si parla di tagli al personale, sai com’è, ha detto.

Narciso tediato

Care amiche e amici lettori, voglio proporvi un mio breve racconto selezionato per la raccolta intitolata Dal fragor del Chiampo al cheto Astichello associata al Premio letterario Giacomo Zanella (XIII edizione) e promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Monticello Conte Otto (VI), in collaborazione con la Pro Loco di Monticello Conte Otto. Il tema del concorso era “Pensieri sull’acqua…” e come unico vincolo c’era il limite di 6000 battute. dal titolo si intuisce essere una mia personale rivisitazione del mito di Narciso, spero vi piaccia. Buona lettura.


Narciso tediato

Si portava appresso la noia, e a rimorchio Eco, il povero Narciso. Entrambe, inutile puntualizzarlo, compagne indesiderate alquanto scocciatrici.

Aumentando il passo, e lanciando occhiate poco amorevoli alla ragazza, si domandò quale delle due presenze esasperasse maggiormente i nervi.

Eco posso sempre allontanarla a sassate, pensò calciando una pietra, la noia ha il pregio di non avere una forma materiale quindi, alla vista, non crea alcun disagio; ma quando si fa viva, non molla la presa… Potessi farle sparire entrambe all’istante!

Pluff.

La pietruzza colpita poco prima, dopo un’interminabile parabola, finì nello stagno nascosto tra la macchia d’alberi, e il suono acquoso risvegliò i sensi di Narciso. Agguantando una manciata di sassi, decise di scoprire se avesse colpito o meno qualche salamandra appisolata in acqua. Lanciare proiettili a quelle bestiole era un ottimo diversivo per sconfiggere il tedio, e nel caso il colpo fosse andato a vuoto, avrebbe rimediato utilizzando le mani. Vedere i rettili dimenarsi per sfuggire ai sassi lo divertiva sempre.

Quale stupore nello scorgersi riflesso nello specchio d’acqua! Per poco non vi cadde dentro, stregato dalla perfezione del proprio volto.

La bellezza, pensò inginocchiandosi ammaliato, mai avrei immaginato potesse risaltare a tal punto nell’acqua.

«Amo il mio viso» sospirò. E accarezzandosi il volto divenuto ad un tratto prezioso più della stessa vita, ignorò le lodi profuse dalla ragazza alle sue spalle.

Ammirandosi incantato, si scoprì afflitto da pene d’amore per sé stesso.

Perché, prima di allora, s’era volutamente ignorato? La mandibola pronunciata. Gli occhi limpidi e decisi. Le labbra carnose e morbide solo a sfiorarle. Capì d’essere l’incarnazione della bellezza, e immergendosi nella soave visione, continuò a scrutare avidamente i propri lineamenti memorizzando gelosamente ogni tratto.

Sopraffatto dall’intensità del momento, e dimentico degli intenti precedenti, allungò una mano sedotto dalla propria beltà.

«Niente può intaccare simile splendore» disse Narciso, immergendo le dita nel laghetto desideroso di poter accarezzare la figura riflessa; «potessi agguantarti…».

La superficie dell’acqua, sentendosi disturbata, si increspò fulminea agitandosi come una serpe minacciata, propagando onde concentriche deformanti la perfezione.

«Sono salvo» disse con sollievo il ragazzo,  rivolgendosi al volto sfigurato.

Temeva di rimanere stregato dal proprio fascino. Tremava all’idea di rimanere lì, genuflesso, in venerazione di sé stesso, per sempre. Fino a sfiorire. E un lampo di coscienza illuminò un breve, ma intenso, pensiero. Mai avrebbe tollerato il sopraggiungere della corruzione. Non sul suo viso.

«E se non posso custodire intatto il mio volto per l’eternità, tanto vale distruggerlo ora. In questo preciso istante» disse parlando a improbabili uditori.

«Assaporando il brivido che precede la distruzione, potrò conservare nella memoria l’immagine della perfezione. Anche il creato, prima dello scatenarsi di una tempesta, si fa a tal punto bello da rasentare il sublime. Lo stesso accadrà al mio viso. Sarà stupendo nell’attimo che precede il declino, ed io me ne impossesserò in quell’istante».

Come avesse intuito i propositi, pochi istanti dopo l’acqua raggiunse nuovamente la quiete, e Narciso, impreparato a tale eventualità, fu nuovamente avvinto dalla bellezza.

Esausto, e incapace di resistere a qualsiasi sollecitazione, si lasciò condurre dalla seduzione. Venne cullato dal dolce sciabordio dell’acqua increspata dall’ennesimo tentativo del ragazzo di accarezzare la propria immagine. Fu trascinato dai ricordi in un tempo remoto in cui il buio profondo avvolgeva tutto.

Le ultime energie rimaste servirono a vacillare tra la forza attrattiva dello specchio d’acqua, con conseguente appassimento, e la decisione ultima di impossessarsi della perfetta compiutezza.

«Nel ventre materno» disse il giovane alzandosi di scatto rivolgendo lo sguardo al cielo «cominciò a crearsi la bellezza. Ricordo un’interminabile immersione in un liquido, e l’acqua conserva quella memoria».

«L’acqua conserva la memoria» disse Eco, ripetendo le parole dell’amato.

Immobile, e a debita distanza, seguì ogni movimento con le braccia strette al petto. Aveva timore  d’essere allontanata bruscamente, e al tempo stesso la preoccupazione dovuta alle parole del giovane le divorava l’anima.

Si impossessò di ogni pensiero. Gemette ad ogni sussulto. Lanciò sospiri, e mute preghiere, sperando così di interrompere le fosche elucubrazioni del ragazzo. Lei, unica testimone (indesiderata) dei turbamenti di Narciso.

«Sì! La memoria dell’acqua» disse lui parlando a sé stesso «custodisce ogni tipo di bellezza, compresa la mia».

«Compresa la mia» ripeté Eco facendo un passo in avanti. Vedendolo in bilico sul ciglio, allungò le mani per afferrarlo temendo potesse cadere.

Con un violento spintone, e uno sguardo di disgusto, Narciso la scacciò via.

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«La bellezza non sarà mai tua; Eco! Finalmente ho compreso» disse il giovane concedendole un unico e gelido sorriso. Le fece l’occhiolino, arretrò di un passo e, con gesto teatrale, si lasciò cadere perdutamente nel lago. Sorridendo.

Ultima stazione

Ultima stazione, presente in Di luce e di oscurità, è una poesia lontana nel tempo. Ha assistito a tre cambi di residenza, accompagnandomi nelle vicende capaci di segnare profondamente la mia vita. Prima di comparire in volume ha conosciuto qualche leggero cambiamento (è una delle conseguenze della crescita) ma la struttura è rimasta pressappoco la stessa. Ultima stazione è una poesia cupa. Ultima stazione è una poesia che amo.

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Desiderio d’oscurità

assale la mia mente.

Vecchi pensieri

viaggiatori incalliti

(oramai spossati)

si preparano

molto mestamente

al loro ultimo viaggio.

Non ci sarà ritorno

né grandi gioie alla partenza

solo dolore e sofferenze.

piccola nota:

per chi volesse leggerla con una base musicale consiglio questo magnifico pezzo dei Dark Sanctuary

Racconto nel racconto

Oggi vi parlo di un racconto contenuto in Diafonie. Microfisica dei piccoli gesti edito da Ofelia Editrice. Si intitola Riflessi incondizionati e nasce grazie a due procedimenti specifici.

Il primo è frutto di una tecnica letteraria per superare il cosiddetto blocco dello scrittore. Si prende un foglio bianco e, in modo ripetitivo e ossessivo, si scrivono in rapida successione frasi tipo “non ho idee” o “non so cosa scrivere”. La mente cederà, per sfinimento e noia, e il flusso di idee scorrerà libero, soprattutto attraverso associazioni mentali impensate (provare per credere).

Il secondo procedimento è più immediato. Si attingono dai ricordi luoghi, o persone del passato, per costruire una storia ancorata al presente.

Riflessi incondizionati è nato dall’unione tra la voglia di smontare schemi mentali, e i pomeriggi trascorsi dal barbiere quando ero ancora un bocia [1].

Se per caso vi capita di passare per Miane percorrendo la strada che da Vittorio Veneto va a Valdobbiadene, lungo il percorso, sulla destra, troverete la bottega di M. Lì andavo a tagliarmi i capelli. Entravo chiedendo un’acconciatura così, e così, ed uscivo con il taglio voluto da M. Era un barbiere vecchio stile: mode e desideri dei clienti gli erano indifferenti. Conosceva quei quattro tagli, e li abbinava alla testa che aveva tra le mani. Semplice. Prendere o lasciare.

Mio padre provò l’arte di M, una volta. Rincasando disse mai più. Preferiva andare da T Faldìn [2] (il soprannome si commenta da sé) anche se questi aveva la bottega a tre chilometri da casa nostra. E poi M ‘l ciàcola masa e ‘l è un basabanc [3], come ribadiva sempre papà. Ottimi motivi, dal suo punto di vista, per non recarsi dal mio barbiere. Per me, invece, l’idea di evitare una pedalata in salita era un ottimo motivo per scegliere M.

Comunque non era solo la pigrizia a portarmi lì. In realtà quella bottega mi piaceva. Era spoglia, piccola, minimale. La radio perennemente sintonizzata in stazioni deprimenti, e tra le tre poltrone, destinate a chi attendeva il turno, c’era un unico tavolino con qualche numero di Tex. E niente altro. Era un luogo per chiacchierare di politica, di calcio, delle novità che rompevano la noia paesana. E, nonostante fossi solo un bocia [1], lì, e solo lì, avevo il diritto di ascoltare i discorsi dei veci [4], con il privilegio di fare qualche battuta. Era una bottega prettamente per maschi, e chi vi entrava, qualunque età avesse, era considerato tale.

In più mi piaceva quel senso di vuoto che si respirava osservando la mensola del lavello. Niente lozioni, o creme. C’erano il sapone da spalmare sulla barba, uno shampoo per capelli normali, e uno per capelli bianchi. Ma l’oggetto più importante era il rasoio. Manico bianco/avorio, e lama sempre affilata. M lo teneva immerso nell’alcol rosato in un vasetto simile a quello della marmellata. Era il rasoio usato per modellare le basette ed eliminare i peli sulla nuca. Lo strumento che sanciva la fine della seduta. In quella bottega mi sentivo uomo anche se la barba era ancora una chimera. Ascoltavo la radio noiosa, e mi appropriavo dei discorsi dei veci [4] che inveivano contro Andreotti o Cirino Pomicino. Anche se non l’ha mai confessato, M votava DC, e molti clienti, schierati con Craxi e De Michelis, usavano il suo negozio come luogo di dibattito politico.

E in quegli anni in cui la mia formazione procedeva in modo bislacco, oltre a divertirmi nel seguire le dispute politico/filosofiche tra un taglio e una rasatura, aspettavo il momento in cui papà sarebbe rientrato dalla sua seduta dal barbiere. Sapeva lo avrei canzonato chiamandolo Alain Delon dei poveri e, nonostante sia una storiella molto divertente, forse ve la racconterò al prossimo taglio di capelli. Giusto per lasciarvi con l’acquolina in bocca.

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Potrei inoltre parlare di quando papà si iscrisse al PSI, e partecipò a una cena con De Michelis. Di per sé la vicenda è poco interessante ma -immancabile come la morte- a ogni battibecco mamma rispolverava la vicenda del tesseramento al PSI (e la cena offerta dal gaio politicante veneziano) per aggiungere altra carne al fuoco e ricordare a papà che non ne combinava mai una giusta. Lui rideva, io pure. Chissà, forse in quegli anni l’iscrizione al PSI avveniva nelle botteghe dei barbieri. O forse questa è solo una sequenza di associazioni mentali atte a dimostrare la validità delle tecniche usate per scrivere Riflessi incondizionati.

[1] bocia: ragazzino/persona inesperta

[2] faldìn: falce

[3] ‘l ciàcola masa e ‘l è un basabanc: ciancia troppo ed è un (lett. tradotto) baciabanchi (l’equivalente in italiano è baciapile)

[4] veci: vecchi

Allo specchio

Allo specchio è una delle mie poesie preferite, se non la preferita in assoluto. Per quanto  sia breve e semplice nella struttura, penso riesca a tramettere appieno il senso di smarrimento.

Immagino sia capitato a chiunque, specchiandosi, di non riconoscere il proprio volto riflesso nello specchio (almeno una volta). Un momento di smarrimento che si fa vivo soprattutto nei momenti di svolta, o di confusione.

Allo specchio parla di ciò. Dello smarrimento, dell’incomprensione, della necessità di specchiarsi l’animo. E mi auguro sia una superficie nitida in cui possiate specchiarvi.


ALLO SPECCHIO

Di me stesso

sono l’incompreso.

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