A proposito di pedofilia

A proposito di pedofilia vorrei condividere questo breve resoconto. Mi auguro vi prendiate qualche minuto per leggerlo e riflettere, e qualche altro istante per condividere pensieri o per porre domande con cui costruire un dialogo interessante. Necessito di punti di vista differenti.

Parlando poco tempo fa con un’amica m’è tornato alla memoria un fatto di quando avevo circa 15/16 anni. Erano gli anni dell’istituto tecnico industriale. Il periodo di nuove scoperte e prime rivolte. Un anno nel quale, oltre a cambiamenti caratteriali ed esperienziali, vidi l’arrivo di una nuova professoressa d’inglese – quella a seguire è una breve vicenda che la riguarda.

Bionda dagli occhi d’intenso blu, aveva un fondoschiena che la metteva sempre a disagio – sovente si lamentava del culone. Vestita abiti dai colori sgargianti come stoffe indiane, ma dal taglio tipicamente occidentale, e si agghindava con un vago senso di sbadataggine. E il suo carattere, come potrei descriverlo? Forse con un aggettivo: infantile. Infatti amava vantarsi di trascorrere quasi ogni fine settimana a Londra, bollando noi sbarbatelli come “sfigati” (non usava quest’espressione, ma il tono era quello) perché rintanati nel nostro piccolo pezzo di Veneto.

Una mattina, mentre noi ragazzi si è in attesa dell’arrivo di un professore affetto da ritardo cronico, X ci fa una confessione: «una volta a settimana vado a ripetizioni d’inglese dalla nostra prof». Segue un momento di silenzio in cui lo guardiamo per capire dove voglia andare a parere e poi, tutto sorridente, continua: «l’ultima volta mi ha fatto un pompino». Convinto di assaporare il suo momento di gloria, X rimane interdetto dalla nostra reazione.

Lo guardiamo tra incredulità e derisione credendo sia la solita balla che si è soliti, tra maschi, raccontare per vantarsi di qualche prodezza sessuale ma, nel momento in cui la sua espressione muta da delusione a sguardo smarrito per un‘innocenza perduta, l’atmosfera in classe cambia. La verità si fa intensa e amara, e il sogno erotico di ogni studente di farsi una professoressa si trasforma in incubo. La linea di demarcazione è stata violata, proprio come l’innocenza, e qualcosa di impalpabile in noi cambia.

La vicenda della pedofila (come qualcuno di noi sbarbatelli, in segreto, soprannominò l’insegnante) sfumò d’intensità di giorno in giorno fino a divenire una vicenda lontana e dimenticata, e di quell’esperienza non ne parlammo più.

Ed ecco che, nel mezzo di una discussione con un’amica, l’espressione del mio ex compagno di classe torna con prepotenza davanti ai miei occhi nel momento stesso in cui il ricordo riaffiora dalle acque profonde della memoria, e la sensazione che legò noi ragazzi in quel preciso momento ricompare con lo stesso amaro sapore del giorno in cui la confidenza si fece carne.

Quando l’argomento pedofilia compare nei miei pensieri, o discorsi, l’orco cattivo è sempre maschio, difficilmente lo associo alla sfera femminile ma, proprio ripensando alla vicenda appena narrata (lontana molti lustri), mi accorgo della stortura, e una riflessione scatta in me.

La percezione della gravità cambia a seconda del genere d’appartenenza. Se immagino un uomo a compiere sesso orale (su ragazza o ragazzo non fa differenza), la reazione si fa più violenta e indignata. Nei confronti di una donna mi scopro più tollerante, e mi chiedo perché. E a questa domanda, che necessita risposta, sono conscio dovrò indagare a fondo, magari confrontandomi proprio con te che, giunta/o fino alla fine di questa breve narrazione, sicuramente hai pareri a riguardo. Voglio scoprire se hai vissuto vicende simili, o come ti approcci a simili argomenti; quali siano i tuoi pensieri, e le tue riflessioni. Ma soprattutto ricorda che non si è qui per giudicare, ma per comprendere e confrontarsi.


Mi scuso se il testo non è scorrevole quanto avrei voluto, ma l’urgenza mi ha spinto a sorvolare sulla sintassi e a ridurre all’osso i fatti.

Samantha (o la breve narrazione di una serata trascorsa in compagnia di una giovane donna che indossò sfumature alla Buio Omega)

Facendo pulizia di vecchi file ho trovato le annotazioni conseguenti a un appuntamento al buio. Avevo dimenticato questo avvenimento e, rileggendo le poche informazioni scritte a suo tempo, mi domando perché abbia abbandonato la divertente pratica di conoscere persone a caso, privandomi così della possibilità di incontrare ragazze caratterizzate da singolari peculiarità.

Innanzi tutto tengo a precisare che Samantha, il nome della protagonista, è di pura finzione; siamo usciti un’unica volta e la messaggistica, prima e dopo l’incontro, è durata poche settimane è perdonabile, quindi, questa mia dimenticanza (amnesia ben diversa dall’oblio in HO SCORDATO IL NOME DELLA RAGAZZA CON CUI SONO USCITO PER MESI). In compenso ricordo la sua provenienza, Mogliano Veneto, e della gonna plissettata nera e corta indossata per l’appuntamento (particolare di rilevante importanza nel proseguo della vicenda).

La storia ruota attorno alla stessa città: Conegliano. Una mattina, mentre faccio colazione in un bar mai frequentato prima incontro casualmente X, ex compagno delle superiori. Parlando del più e del meno gli racconto di essermi lasciato alle spalle un periodo incasinato e di voler conoscere qualche nuova ragazza. Per magia spunta il nome di Samantha con tanto di numero telefonico. È l’amica di un’amica e pure lei sembra alla ricerca di novità sento se le va che le giri il tuo numero. Trascorrono due giorni dall’incontro con X e la trama di sms con Samantha prende forma.

Ci facciamo una birra a Conegliano, mi scrive, ma incontriamoci fuori dal centro così ci facciamo una passeggiata. Al sottoscritto va bene, e stabiliamo luogo e ora per l’incontro.

Samantha si rivela molto carina e, come già accennato in precedenza, indossa gonna e maglietta nera anonima, e un giubbetto di pelle (vi lascio indovinare il colore). I capelli, mori e lunghi, li ha raccolti in una treccia adagiata sulla spalla sinistra.

È distante il pub? A una ventina di minuti, dico. Bene io sto davanti tu guidami… questo breve dialogo avviene dopo esserci presentati. Troppo confuso per rimanere interdetto faccio come Samantha desidera e, se escludo le volte in cui si gira per controllare che il distanziamento di due metri sia rispettato (la ragazza aveva forse previsto le normative in merito Covid19 con 10 anni d’anticipo?!), le uniche parole intercorse vertono esclusivamente sulle istruzioni impartitele per raggiungere il locale.

Al pub la sinfonia sembra ripetersi. Si aggira cercando il tavolino ideale e intanto mi spedisce a ordinare due birre.

Ti ho accennato che sono disoccupata nei messaggi? Sì, le dico sedendomi di fronte. Oggi ho fatto un colloquio. E come è andato? È per un posto in un’impresa di pompe funebri. La domanda postale era differente ma evito di sottolinearlo per non inimicarmela dopo dieci secondi. L’idea di vestire e truccare i cadaveri mi eccita una casino (parole sue, giuro). Benedetto sia il gestore che arriva con tempestività a servirci le birre interrompendo un discorso che, successivamente, riesco a indirizzare verso una lista di argomenti più consoni a una conversazione qualunquista. Esci da una storia complicata; cosa hai studiato; credi agli oroscopi e menate varie.

Facciamo un brindisi a noi due? Molto volentieri, dico e noto il modo con cui afferra il boccale. Samantha lo avvolge con le mani come si fa con una tazza di cioccolata calda per infondere tepore alle mani. Senti come è fredda questa birra, dice seria, chissà se anche i cadaveri lo sono altrettanto.

Accantoniamo le teorie freudiane in materia di Eros e Thanatos e concentriamoci sulla mia fantasia. Mi figuro Samantha intenta a strusciarsi languida e sensuale su un morto (rigido pure lì) e la mia libido decide di abbandonare il mio, di corpo breve cronaca di un’erezione mancata.

A cosa stai pensando? Lo vuoi proprio sapere, le chiedo. Non serve credo di immaginarlo e forse… [sorriso compiaciuto]. Siamo due tipi dalla fervida immaginazione, le dico. Decisamente, dice e inizia a raccontare vicende minori concernenti la storia d’amore che ha appena concluso, tediandomi come mai m’era capitato.

Le birre finiscono, come i suoi racconti, e ci avviamo verso il parcheggio. Di nuovo chiede di fare strada lasciando il sottoscritto nelle retrovie distanziato di un metro, stavolta.

Mi hai guardato il culo prima? Se dicessi di no mentirei, rispondo. Bene perché voglio che mi guardi il culo mentre camminiamo, e felice come una bimba solleva la gonna mettendo in mostra le mutandine viola (gesto che compirà ripetutamente). Qualcosa riprende vita e non mi riferisco al cadavere menzionato in precedenza. Arriviamo alle automobili e la serata sembra svoltare in meglio. Ci scambiamo qualche bacio e alcune carezze, poi mi invita a salire sulla sua vettura.

Scusami se non ti faccio un pompino anche se ne avrei voglia ho già un amico di scopate e mi basta non vorrei incasinare troppo la mia vita. Va bene, le dico, non mi sembra di avertelo chiesto. E lei sorride allo stesso modo di quando eravamo in birreria: il sangue mi si gela, e qualcos’altro appassisce con codardia. Spero proprio mi assumano all’agenzia di pompe funebri ci tengo così tanto. Te lo auguro, le dico. Che carino, esclama baciandomi e ci salutiamo. Salgo nella mia macchina e la guardo scrivere un sms, poi se ne va (mi verrebbe da dire per sempre, ma…).

Se non avessi annotato i punti salienti di questa breve serata, di Samantha (chissà per quale motivo evitai di scrivermi il suo nome, ero convinto di rivederla?) avrei dimenticato tutto: dalle mutandine viola, alla gonna plissettata; dalla treccia corvina, allo sguardo nero e intenso – ma al contempo vuoto. Avrei scordato lo scambio di messaggi che perdurò qualche settimana in cui mi narrò lo stato della sua vita amorosa/sessuale, e di come l’agenzia di “becchinaggio” rifiutò la sua candidatura; delle paranoie dovute alla disoccupazione, alle foto del suo culo inviatemi perché, come amava ripetere, desiderava non lo dimenticassi. Ma, in un file intitolato “sangue freddo” ho ritrovato tutto ciò e, rileggendo l’andamento di quell’appuntamento, la sua figura è ritornata con prepotenza a invadermi la mente. Solo una cosa manca per completare questo quadro: avrà esaudito la fantasia necrofila che si portava appresso?

Conegliano, via Giovanni Battista Cima

Ho una cicatrice indelebile…

Ho una cicatrice indelebile causata da ciò che avvenne presso la stazione ferroviaria di Bergamo in una giornata afosa e appiccicaticcia. A spingermi nel capoluogo orobico con la mia R5 bianco panna, in pieno agosto, fu la prospettiva di trascorrere tre giorni in compagnia di una ragazza.

Con IB avevo intessuto un fitto dialogo tramite la chat di un noto operatore telefonico e, discorrendo di argomenti vari, si giunse al punto di ciarlare d’erotismo tanto da scoprire che il suo interesse sessuale nei miei confronti era pari alla mia curiosità nei suoi riguardi. Senza troppo rimuginare se fosse giusto o meno soddisfare tale curiosità, salii in macchina diretto in Lombardia.

Di IB conservo l’immagine di un viso carino (non ancora di donna) segnato dagli sfoghi dell’acne e leggermente nascosto dalla montatura retrò degli occhiali. Allo stesso tempo, la memoria, vacilla sui dettagli riguardanti le sue forme, e la causa è presto detta.

Appena ci incontrammo IB tenne a precisare il desiderio di conservare la propria illibatezza per la prima notte di nozze e, in conformità a tale decisione, mai si sarebbe denudata al cospetto mio o di qualsiasi altro maschio fatta eccezione, ovviamente, del futuro consorte. Tale risoluzione era dovuta, sottolineò, per non cedere alla vertiginosa tentazione che viene a crearsi tra due corpi svestiti. Dal mio punto di vista le premesse per un erotico soggiorno sfumarono dopo pochi scambi di battute, e i 250 km percorsi con l’idea di introdurre il mio pene nella di lei vagina rischiavano di tramutarsi in una beffa bella e buona. La certezza di passare tre notti in albergo con me stesso come unico compagno era tutto fuorché eccitante ma, come si addice alle migliori sceneggiature, IB si rivelò a suo modo sorprendente.

Al giro turistico della città Alta, la ragazza bergamasca unì una smodata passione per il mio sedere (manifestata in continui palpeggiamenti) e una sana dimostrazione della propria arte nella pratica della fellatio manifestata nei posti più improbabili — che l’idea di mostrarmi i luoghi dell’infanzia fosse solo un pretesto, lo capii subito.

In IB, nonostante la mia ingenuità, percepii il bisogno spasmodico di scontrarsi con un passato opprimente. Mi regalò pompini davanti al collegio clericale frequentato per tutto il percorso scolastico; al campo di calcio in cui assisteva, senza mai partecipare, alle partite del fratello con gli amici; sotto al porticato usato dai clochard come tetto d’emergenza. E fu proprio qui, dopo aver raggiunto l’orgasmo, che mi avvidi della presenza di uno spettatore e quando lo feci notare IB rispose che, se ero stato condotto in quel luogo, un motivo doveva pur esserci. Ma, e qui lo confesso, la compagnia di IB e la bellezza di Bergamo Alta sono ricordi marginali rispetto a ciò che avvenne alla stazione ferroviaria.

L’ora convenuta con IB per l’incontro era mezzogiorno e, come spesso mi capita, vi giunsi con qualche minuto d’anticipo. Nel mentre decidevo se farmi una birra al bar, oppure trascorrere quei pochi minuti d’attesa in macchina, la vidi arrivare.

Aveva lunghi capelli corvini che le coprivano gran parte del viso, e un passo deciso nell’instabile equilibrio. Indossava una maglietta grigia, nel taglio simile a un camice ospedaliero, e dei jeans logori. Si sedette di fronte alla mia automobile e compì gesti precisi con estrema naturalezza. Scorsi nei suoi occhi un barlume d’estasi mentre l’eroina entrava in circolo. La vidi sorridere inebetita poco prima di cedere al torpore stupefacente. Alienato dalla situazione fui capace solo d’ingranare la retromarcia e andarmene, scordandomi pure di IB. Quello spettacolo, così crudo e ipnotico, lo sentivo (e tuttora lo è) troppo vicino e doloroso. La necessità di lasciarmelo alle spalle, cancellando dall’immaginario quegli attimi in modo definitivo, era un proposito che sentivo impellente. Fallii, e queste righe ne sono la testimonianza.

E mi dispiace ammettere l’incapacità di rendere partecipe te che leggi dell’atmosfera creatasi in quei pochi minuti a cavallo di un torrido mezzogiorno bergamasco inzuppato dal sudore di due perfetti sconosciuti. Due, come i pallidi volti imperlati di gelide gocce. Due, come i colori che poco si sposavano in quel triste quadro. Una pennellata verde, per descrivere l’aiuola in cui giaceva una delle innumerevoli solitudini di cui è costellata la vita; l’altra grigia, per una maglietta poco chic stagliata davanti alla facciata di una stazione.

E ora, cercando di attribuire un significato a un evento che chiedeva solo d’essere vissuto senza giudizio alcuno, mi pongo nudo davanti allo specchio per rileggere quegli attimi con sguardo esterno e conto le numerose cicatrici (tangibili e non) disseminate lungo il mio corpo. Minuscoli squarci come quelli presenti nell’avambraccio della giovane sconosciuta. Piccole lacerazioni che, se unite da un’ipotetica linea, tracciano la figura attuale che risponde al mio nome.


Puoi trovare altri miei racconti in DIAFONIE. MICROFISICA DEI PICCOLI GESTI

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