Che sia per il profumo

Che sia per il profumo umido della pioggia, o per il lieve baluginio dei primi raggi solari ad accarezzare i monti, il mattino riserva sempre un lungo istante speciale.

Nel mio tragitto incontro lepri, caprioli, a volte cervi e, quando sono fortunato volpi e tassi. E le gazze? Sono ovunque con la loro irriverenza, per non parlare degli stormi di gracchi spudoratamente ciarlieri.

Tutto ciò è bellezza, ma non tanto affascinante come passeggiare o correre sotto la pioggia.

È una sensazione benefica. Ti sciacqua i pensieri rigenerando il corpo.

In ogni stagione faccio almeno un’uscita sotto la pioggia senza riparo alcuno e, se stai leggendo queste righe, ti invito a farlo. Giusto per amarti un po’.

(continua sotto l’immagine)

ADOTTA UN POETA

Proprio così, adotta un poeta o, per meglio dire, uno ei suoi componimenti. Un libro non sporca, non devi farlo uscire per fare i bisogni, e non o devi nemmeno sfamare! Anzi, ricambia la fiducia donandoti emozioni.

E allora, cosa aspetti? Adottami!

I miei componimenti li trovi a questo link: Amazon.it : alessandro chiesurin oppure puoi chiedermi di niviarti una copia direttamente a casa

Buonanotte Oreste

Il piano per la serata era semplicissimo: uscire dall’ufficio con passo spedito, salire in automobile con destinazione casa, invitare Gisella al ristorante, e infine fare una passeggiata nel centro storico, magari bevendo qualcosa di fresco in un localino tranquillo e accogliente.

A priori è semplice fissare una meta e stabilire tutti gli spostamenti in base ad essa; il problema risiede nell’interferenza dei fattori esterni.

Un fattore può essere individuato nel caldo insolito presentatosi nei primi giorni di aprile, capace di stenderti come un colpo alla testa. Un altro ancora è rappresentato dalla figura del direttore (stronzio patentato come pochi) che ti accoglie in ufficio con una sfilza di pratiche da evadere, tra l’altro tutte urgenti e inderogabili, con la peculiarità di mandarti in palla il sistema nervoso.

O forse è una concomitanza di entrambe le cose, e ti accorgi quanto sia inutile pianificare progetti, a breve o luno termine, se il mondo sembra intenzionato ad accanirsi su di te.

Uscendo dall’ufficio con il morale sotto i tacchi, e aggredito dal caldo anomalo, ti accordi d’essere propenso per fare una capatina, veloce veloce, al bar. Una sola birra rinfrescante per spegnere quel formicolio, alquanto fastidioso, che si manifesta immancabilmente alla base del collo durante le giornate più nere. Poi, in ordine, ristorante e passeggiata con Gisella. Tutto secondo programma.

Fai il tuo ingresso nel locale con passo baldanzoso e lo sguardo rivolto al cielo. Ti dirigi al solito sgabello. Quello in fono al bancone da cui puoi scrutare tutti i presenti nel bar, e mostrando due dita a Marietto gli fai capire al volo i volere il solito.

Il solito. Sei qualcuno con stile se non hai bisogno di proferire parola per ordinare quello che berrai. Lì dentro sei un’autorità.

Se vuoi sapere come va a finire la capatina al bar di Oreste è semplicissimo: ti basta richiedere una copia di Diafonie. Microfisica dei piccoli gesti compilando il MODULO CONTATTI.

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Ricordo

Lo incrocio con cadenza quasi regolare. Ha lo sguardo leggermente triste, e il cagnolino al seguito. Il nome, come mia consuetudine, non lo ricordo e sul suo, in particolare, è calata una nebbia fitta. Eppure…

Eppure ricordo il giorno in cui lo conobbi: 07 dicembre 2017.

Ricordo una ragazza di origine spagnola. Teneva stretto al petto con la mano sinistra il proprio, di cagnolino. Nella destra reggeva una sigaretta. Lasciò si consumasse in una lenta e bruciante consunzione senza mai fare un tiro.

Ricordo madre e figlia (nella mia testa honduregne) dall’accento centro-sudamericano. Stupende nella loro creola bellezza. Sei muy dolze, ripeteva la madre guardandomi – sudato e puzzolente come un caprone – in quel pomeriggio velato di grigio. Pareva volesse abbracciarmi dalla commozione. Io, ciondolante davanti all’unico ufficio vuoto e spento del canile di Belluno, cercavo di calmare un povero cagnolino. Lo stesso cagnolino che incontro in compagnia dell’uomo dallo sguardo triste.

Chissà se quegli occhi si velano di tristezza nel vedermi. La condivisione di un momento particolare ci lega, e ci allontana. Inevitabilmente. Ci scambiamo un sorriso indeciso e proseguiamo, ognuno per la propria strada.

Forse passerà ancora del tempo prima che si riesca a scambiare qualche parola. È naturale. È, comunque, il nostro addolorato segreto.


P.S. quella stessa sera avrei presentato per la prima volta Diafonie. Microfisica dei piccoli gesti, e se siete curiosi di scoprire qualcosa, vi basta cliccare QUI

Racconto nel racconto

Oggi vi parlo di un racconto contenuto in Diafonie. Microfisica dei piccoli gesti edito da Ofelia Editrice. Si intitola Riflessi incondizionati e nasce grazie a due procedimenti specifici.

Il primo è frutto di una tecnica letteraria per superare il cosiddetto blocco dello scrittore. Si prende un foglio bianco e, in modo ripetitivo e ossessivo, si scrivono in rapida successione frasi tipo “non ho idee” o “non so cosa scrivere”. La mente cederà, per sfinimento e noia, e il flusso di idee scorrerà libero, soprattutto attraverso associazioni mentali impensate (provare per credere).

Il secondo procedimento è più immediato. Si attingono dai ricordi luoghi, o persone del passato, per costruire una storia ancorata al presente.

Riflessi incondizionati è nato dall’unione tra la voglia di smontare schemi mentali, e i pomeriggi trascorsi dal barbiere quando ero ancora un bocia [1].

Se per caso vi capita di passare per Miane percorrendo la strada che da Vittorio Veneto va a Valdobbiadene, lungo il percorso, sulla destra, troverete la bottega di M. Lì andavo a tagliarmi i capelli. Entravo chiedendo un’acconciatura così, e così, ed uscivo con il taglio voluto da M. Era un barbiere vecchio stile: mode e desideri dei clienti gli erano indifferenti. Conosceva quei quattro tagli, e li abbinava alla testa che aveva tra le mani. Semplice. Prendere o lasciare.

Mio padre provò l’arte di M, una volta. Rincasando disse mai più. Preferiva andare da T Faldìn [2] (il soprannome si commenta da sé) anche se questi aveva la bottega a tre chilometri da casa nostra. E poi M ‘l ciàcola masa e ‘l è un basabanc [3], come ribadiva sempre papà. Ottimi motivi, dal suo punto di vista, per non recarsi dal mio barbiere. Per me, invece, l’idea di evitare una pedalata in salita era un ottimo motivo per scegliere M.

Comunque non era solo la pigrizia a portarmi lì. In realtà quella bottega mi piaceva. Era spoglia, piccola, minimale. La radio perennemente sintonizzata in stazioni deprimenti, e tra le tre poltrone, destinate a chi attendeva il turno, c’era un unico tavolino con qualche numero di Tex. E niente altro. Era un luogo per chiacchierare di politica, di calcio, delle novità che rompevano la noia paesana. E, nonostante fossi solo un bocia [1], lì, e solo lì, avevo il diritto di ascoltare i discorsi dei veci [4], con il privilegio di fare qualche battuta. Era una bottega prettamente per maschi, e chi vi entrava, qualunque età avesse, era considerato tale.

In più mi piaceva quel senso di vuoto che si respirava osservando la mensola del lavello. Niente lozioni, o creme. C’erano il sapone da spalmare sulla barba, uno shampoo per capelli normali, e uno per capelli bianchi. Ma l’oggetto più importante era il rasoio. Manico bianco/avorio, e lama sempre affilata. M lo teneva immerso nell’alcol rosato in un vasetto simile a quello della marmellata. Era il rasoio usato per modellare le basette ed eliminare i peli sulla nuca. Lo strumento che sanciva la fine della seduta. In quella bottega mi sentivo uomo anche se la barba era ancora una chimera. Ascoltavo la radio noiosa, e mi appropriavo dei discorsi dei veci [4] che inveivano contro Andreotti o Cirino Pomicino. Anche se non l’ha mai confessato, M votava DC, e molti clienti, schierati con Craxi e De Michelis, usavano il suo negozio come luogo di dibattito politico.

E in quegli anni in cui la mia formazione procedeva in modo bislacco, oltre a divertirmi nel seguire le dispute politico/filosofiche tra un taglio e una rasatura, aspettavo il momento in cui papà sarebbe rientrato dalla sua seduta dal barbiere. Sapeva lo avrei canzonato chiamandolo Alain Delon dei poveri e, nonostante sia una storiella molto divertente, forse ve la racconterò al prossimo taglio di capelli. Giusto per lasciarvi con l’acquolina in bocca.

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Potrei inoltre parlare di quando papà si iscrisse al PSI, e partecipò a una cena con De Michelis. Di per sé la vicenda è poco interessante ma -immancabile come la morte- a ogni battibecco mamma rispolverava la vicenda del tesseramento al PSI (e la cena offerta dal gaio politicante veneziano) per aggiungere altra carne al fuoco e ricordare a papà che non ne combinava mai una giusta. Lui rideva, io pure. Chissà, forse in quegli anni l’iscrizione al PSI avveniva nelle botteghe dei barbieri. O forse questa è solo una sequenza di associazioni mentali atte a dimostrare la validità delle tecniche usate per scrivere Riflessi incondizionati.

[1] bocia: ragazzino/persona inesperta

[2] faldìn: falce

[3] ‘l ciàcola masa e ‘l è un basabanc: ciancia troppo ed è un (lett. tradotto) baciabanchi (l’equivalente in italiano è baciapile)

[4] veci: vecchi

Diafonie. Microfisica dei piccoli gesti

Diafonie. Microfisica dei piccoli gesti edita da Ofelia Editrice è la mia seconda opera letteraria, e segue di poco l’uscita de Di luce e di oscurità. Se per la silloge il lavoro che l’ha portata alla stampa è stato lungo e a volte tortuoso, per Diafonie. Microfisica dei piccoli gesti la velocità di realizzazione è risultata talmente spedita da sorprendere me per primo.

Non fraintendetemi, il lavoro che ha portato alla luce questi 18 racconti, più poesia introduttiva, è stato intenso e a volte sofferto, ma un’urgenza incalzante sembra averli tallonati da quando sono stati inviati all’editore.

Spero riescano a catturare la vostra attenzione, queste mie fatiche letterarie, e soprattutto mi auguro riescano ad emozionarvi come è successo a me, componendole.

Se siete interessati ad avere una copia potete chiederla direttamente a me; ordinarla alla casa editrice pigiando qui ;oppure servirvi attraverso i siti presente in rete quali amazon, libreria universitaria, ecc.

A me piace immaginare che ve ne andiate alla vostra libreria di fiducia mettendo in moto la ricerca. È un ottimo modo per far conoscere ai librai le piccole case editrici, e i nuovi autori, creando quell’energia tanto preziosa che si può percepire solo nelle librerie.

DIAFONIE-copertina

La copertina è stata magistralmente illustrata da Monica Tiazzoldi, e se volete scoprire le sue opere, vi basta cliccare qui sopra e lasciarvi incantare dai suoi lavori.

Estratto dalla quarta di copertina:

Vite che si incrociano ad un semaforo rosso, davanti a una caffetteria chiusa, dal barbiere o in un freddo ospedale. Esistenze che si sfiorano, si scambiano impulsi, interferiscono con le solitudini quasi incurabili dei personaggi. Diafonie è una raccolta di scritti che indagano sul potere condizionante dei piccoli gesti, delle più banali azioni quotidiane, indugiano sulle ferite che le relazioni umane producono, talvolta in maniera inconsapevole. […]

Vite di strada

Nell’ora antecedente all’alba, il vento ansima e gli ultimi ritardatari rapaci notturni lasciano il campo agli uccelli del giorno i quali, assonnati, appollaiati fitti fitti sui rami dondolanti, fischiettano canzoni stonate da bettole infime e maleodoranti.

Una volpe corre attraverso il prato diretta alla casa di riposo, e un tasso decide d’ispezionare il cestino dei rifiuti abbandonato sul marciapiede da qualche arido cuore.

Ad ognuno il proprio compito. Così è stampato sul manifesto elettorale per metà affisso al muro di una casa diroccata, e il volto serio e arcigno del politicante di turno in procinto di nomina, viene schiaffeggiato sonoramente dall’alito di vento ansimante.

Supermegaofferta valida per questa settimana, esclusivamente per questa e non per le altre a venire, fino ad esaurimento scorte stipate in magazzino! Il volantino di elettrodomestici si pavoneggia, modella dalla mise perfetta, sfilando lungo le caselle postali delle abitazioni.

Solo per questa settimana, esclusivamente per questa e non per le altre a venire, fino ad esaurimento scorte stipate in magazzino, una lavatrice lavasciuga A+++++ dalla capacità unica nel proprio genere di dieci chilogrammi dieci che puoi buttarci dentro pure il bambino con l’acqua sporca a soli centonovantanove euro e novantanove centesimi. È l’apologia del nove; formula sbandierata nei volantini pubblicitari e tra gli scaffali dei centri commerciali quale ultimo ritrovato della scienza neurologica per sconfiggere qualsiasi psicopatia compulsiva.

Nel restante universo quotidiano il nove è innalzato a cifra di portata tale e quale le altre, se non di minor impatto. Mai perfetto come il tre, non rappresenta l’unicità dell’uno e nemmeno si avvicina all’infinito come l’otto coricato perché troppo affaticato. Un nove è, e rimane, un nove; ma nei volantini… l’apoteosi! La gloria assaporata nel comparire in una rivista patinata.

Il lampione, unico della sua specie nella via, potrebbe risaltare come un nove da brossura per pochi eletti, se non funzionasse a intermittenza. La zoppicante cadenza a sistema binario lo declassa. Zero. Uno. Zero. Uno. Zero. Uno. Perennemente sciancato con funzione claudicante illumina una porzione di palcoscenico per commedianti d’avanspettacolo.

È arrivato addirittura un tecnico di strumenti munito per sincerarsi dello stato dell’allampanato e filiforme cilindro metallico la cui causa, del mal funzionamento, risulta sconosciuta.

Si è proceduti con misurazioni riportate in riquadri incolonnati; cannule colorate hanno invaso pertugi creati da bisturi smaltati, e s’è pure tentato un delicato trapianto alla fonte d’ingegno esportando la lucerna tumorale con un nuovo lume sfavillante.

Sistema binario ad oltranza. Zero. Uno. Zero. Uno. Zero. Uno.

DIAFONIE-copertina

Persistendo il disagio, si provvede alla sostituzione del primo tecnico con un secondo addetto educato e garbato di modi che, con zelo, si prende cura del lampione malato coccolandolo come un cucciolo strappato alla madre durante l’allattamento. Fallendo miseramente nel compito assegnatogli sfigurando quanto l’addetto iniziale, è sostituito a sua volta ignominiosamente dal terzo operatore.

Versa lacrime di sudore, quest’ultimo eroe giunto senza fanfare e grandi onori, arrampicandosi con frenesia sui pioli di scale pericolanti.

Sali. Scendi. Sali. Scendi. Sali. Scendi. Sistema binario. Al terzo tentativo, sfinito per tanta ginnastica non programmata, getta il cappello a terra saltandoci sopra esasperato. Non gioco più me ne vado, canta Mina da una finestra spalancata verso l’infinito cielo arrossato per il succinto e suadente crepuscolo serale.

Il vento ansima e sospinge ai piedi del tecnico ultimo venuto una coppetta di gelato vuota. L’abbandono dell’inutilità. Non si ha più rispetto per la vecchiaia, commenta un anziano signore dondolandosi dalla finestra della casa di riposo in cui la volpe è andata a cercare ristoro. Quando le energie vitali sono ridotte al lumicino non rimane che sbarazzarsi dell’inservibile, come la coppetta di gelato ormai vuota.

I bambini hanno divorato il gelato temendo andasse perduto come la loro pubertà, e il vento boccheggia inseguendo le corse a rotta di collo dei ragazzini.

Il sole all’orizzonte si spegne staccando la spina e la notte si stende sorniona.

La strada quatta quatta s’anima di silenzio, e i gatti assonnati dopo una giornata oziosa, amoreggiano sorridenti sotto all’allampanato lampione ancora claudicante nel sistema binario.

Pornocannibale

Tutto ha inizio dall’occhio che stimola l’appetito. L’acquolina vien guardando.

Mastico mastico mastico. E poi via! Faringe esofago stomaco intestino tenue duodeno digiuno ileo intestino crasso cieco colon ascendente colon trasverso colon discendente colon sigmoideo retto canale anale. Un percorso con fine ultimo. È la catena di montaggio per immagini trite ritrite mal digerite poco assimilate defecate. Merda.

Un po’ di me. Tutti a mostrare una parte del corpo come nel banco del macellaio. Visi pance tette culi fiche cazzi tartarughe mani dita gambe ginocchia rotule piedi occhi nasi braccia bicipiti tricipiti quadricipiti cosce anche (pure quelle) labbra denti lingue orecchie bulbi ciglia sopracciglia barbe baffi basette foruncoli nei punti neri (buchi neri purtroppo mai) tatuaggi piercing orecchini bracciali collari profilo destro profilo sinistro veduta dall’alto veduta dal basso di trenta gradi di quarantacinque gradi di novanta gradi vista frontale (mai dalla soggettiva del muro).

Ingoio tutto. Una singola boccata d’aria fresca. Immagini video professionali amatoriali occhi spenti da gemiti fasulli come la fame che mi stritola le budella.

È il continuo bisogno di erotismo che non è.

È la rivendicazione dell’immagine-corpo da esibire come prodotto culinario. Magari dietro una vetrata come manichini da pose anchilosate. L’emancipazione del corpo dal controllo spasmodico e repressivo.

La repressione mi stimola appetito. Gli istinti si devono pur assecondare.

Fame nevrotica mai sazia d’immagini a portata di clic.

Il super pranzo frugale la cena servita in riva al mare in cima al monte a bordo di una barca che non affonda mai al centro del lago tra grattacieli dai colori sfavillanti o in qualche bettola di periferia con l’oste che più lindo di così non si può.

Pasta al pesto pasta al ragù pasta all’aglio olio peperoncino bistecche da due spanne da tre spanne da cinque spanne di cavallo di vacca con contorno di patate fritte lesse al forno saltate costine di porco salami di tutte le misure piatti vegani linguine al sugo uova sbattute bollite fresche riso alla cantonese ai gamberi allo zafferano alle verdure in bianco in rosso in verde zuppe all’orzo al pesce ai piselli con la carne senza carne con l’aggiunta di spezie saporite ma anche no il pesce non lo mangio se non è appena pescato io lo voglio crudo tu lo vuoi cotto lei al sangue come la carne appena scottata.

Cibi mai assaggiati ma ben armonizzati in piatti che più piatti non si può. Gran bontà!

E ingoio tutto. Non mastico più. Non c’è tempo se ci si vuole rimpinzare. E poi via!

Faringe esofago stomaco intestino tenue duodeno digiuno ileo intestino crasso cieco colon ascendente colon trasverso colon discendente colon sigmoideo retto canale anale. È la catena di montaggio per immagini trite ritrite mal digerite poco assimilate defecate. Merda.

La produzione seriale dell’alienazione.

Rivendicazioni sindacale di un corteo muto alieno a sé stesso pronto a scendere in piazza per mostrare parti del corpo servite su piatti con cui sfamare quell’appetito che non ho.

Date da mangiare agli affamati.

Ingoierò parti di corpi pescati a caso nella rete lamentandomi per il filo di grasso rimasto incastrato tra i denti la prima volta in cui masticai.

Ci giocherò con la lingua, tanto non mastico più, rivendicando nella sfilata di immagini l’alienazione che mi spetta di diritto.

Pornocannibali di tutto il mondo unitevi.

Rivendicate il vostro banco da macellaio. Rivendicate la vostra vetrina per esporvi. Servendovi in un piatto che più piatto non si può.

Gran bontà!

DIAFONIE-copertina

Altre sorprese invece si possono trovare QUI