È dalla scorsa primavera (periodo del confinamento domiciliare) che non riesco a leggere romanzi. Da maggio ne ho letti (o riletti) quattro, e tutti con estrema lentezza – e pensare che ero capace di divorarmi un libro anche in una notte quand’ero preda dell’insonnia. La forma romanzo mi è divenuta quasi ostile, incapace, nella sua prolissità, di saziarmi come fanno altre forme di scrittura. E dopo un periodo di rifiuto totale per i libri, sono scivolato verso altra comunicabilità. Per la cronaca i quattro romanzi letti sono: Christine di Stephen King, Histoire d’O di Pauline Réage e L’identità di Milan Kundera (riletture), e Il curioso delle donne di Alberto Moravia. Il resto delle letture e riletture – amo riscoprire libri in precedenza gustati, spaziano dalla poesia alla crescita personale. Un coacervo di parole immaginifiche, e reale concretezza, tutte a discapito della storia narrata (fatta eccezione per i racconti che ho sempre amato e sempre mi accompagnano).
La pandemia ha mutato il mio modo di vivere e percepire la vita, e uno dei primi cambiamenti concreti sta proprio nella lettura (uno dei miei grandi amori). Non dirò quale libro, manuale, autore o autrice mi sia stato/a più utile in questo periodo. Ti lascio curiosare tra i titoli immortalati nella fotografia sottostante invitandoti a scoprire quale libro abbia riletto più volte, e quale mi sia stato di grande aiuto. Quale abbia ritenuto poco edificante, e quale rimpiango di aver acquistato.
gli altri volumi di racconti e poesie sono nascosti
Ieri alle poste c’era l’assembramento, lo hanno portato di forza. Gente che si intrufolava senza permesso. Chi se ne usciva dicendo ho dentro mio fratello figlio unico. E chi, come il sottoscritto, se la rideva domandandosi se il locale era a rischio sanzione essendo un brulicare di insetti intenti a guadagnarsi un posto al sole, peccato piovesse. Solo ai concerti degli Slayer ho visto così tanta gente ammassata – un tempo contro le transenne, ora davanti agli sportelli – pronta a pogare. Ma si sa, è il tempo del covid e dicono si debba rispettare una distanza minima di sicurezza per salvaguardare il prossimo. Sarà. Nella mia quotidianità poco sociale e molto alienata, per quanto mi impegni nell’evitare il contatto umano e assembramenti vari, mi ritrovo sempre in situazioni caotiche degne della migliore commedia all’italiana. Proprio come ieri mattina quando, col numeretto in una mano e la bolletta dell’acqua nell’altra, mi distanziavo dall’assembramento assistendo al dramma: il misuratore di temperatura va in tilt; un insetto pigia pulsanti a caso sancendo la dipartita dell’aggeggio incriminato; si palesa l’addetta postale dando vita al classico capannello di curiosi e curiose; fine del rilevo temperatura per i presenti nel locale; marasma generale. Ma, tirando le dovute somme, mi viene ancora da esclamare “andrà tutto bene” – per chi non è dato saperlo.
Dimenticavo: ho detto che fuori pioveva?
Raining blood, from a lacerated sky, bleeding its horror, creating my structure, now I shall reign in blood!
Vi ho mai raccontato di quando lavorai con la qualifica di commesso presso una nota catena di faidate del Nord-Est?
Erano gli ultimi mesi del 2019 e il negozio era in procinto di chiudere per trasferimento in nuova sede. Di conseguenza la necessità di svuotarlo dalla merce era imperante, e venne stabilito lo svuotatutto.
Non so se vi sia mai capitato di lavorare in un esercizio in cui la merce viene svenduta, ma vi assicuro che, oltre allo stress, le situazioni divertenti abbondano in quanto gli esseri umani, appena leggono le parole magiche saldi e fuoritutto, sono capaci di dare il meglio di sé. Se prima la mercanzia manco interessava, affiancata dai magici vocaboli diviene agognata come non mai.
E allora ecco la signora comprarsi l’idropulitrice a cui mancano molti componenti solo perché costa 40 euro. E a ruota i due padri di famiglia (con bambin i annessi) contendersi a suon di urla gutturali “l’ho vista prima io”, una sega da banco dalla dubbi funzionalità. Ma, più di ogni altra cosa, esiste un componente della casa che, incredibile a dirsi, stimola l’appetito più famelico: la tavoletta del water.
Un giorno mi arriva a tiro di naso un signore munito di busta plastificata da cui estrae una tavoletta quadrata (!) dal colore molto sospetto. Me ne dà una così. Guardi, non ne abbiamo. Non può prendere le misure? Se lei pensa che io metta le mani su quella così lì si sbaglia di brutto. E io come faccio? Provi a cambiare posizione nell’atto di meditare (lo penso ma non lo dico). Rimette nella busta l’oggetto incriminato e segnato da anni di utilizzo ed ecco arrivare il compare. C’è sempre un compare! E questo a lamentarsi perché ci sono troppi modelli dalle diverse misure. Non le sembra fastidioso? Lo dica a chi produce le ceramiche ma sa, il mercato è sempre alla ricerca di novità, pure le tazze devono sottostare a questa legge. E qui parte la bestemmia perché, prima di uscire di casa, il compare in questione non si è inginocchiato davanti al sacro Graal per prendere le misure. Mannaggia! Sempre bestemmiando se ne va e il sottoscritto si rilassa convinto di aver superato il peggio. Pia illusione!
Il massimo dello stupore giunge il giorno in cui le fantomatiche tavolette vengono esposte con un cartello minimalista: 5 € cadauna. Manco il pane in periodo di carestia è andato via così a ruba! Ed ecco comparire il genio diabolico. Ne piglia 3 (3!) di diverse forme e colori venendomi incontro tronfio. Ma è vero che costano solo 5 euro, mi fa. Certo, il prezzo è espresso chiaramente ma, se mi permette, le faccio notare che hanno misure completamente diverse l’una dall’altra, o il suo water è plastico e si modella a piacimento oppure rischia di spendere i soldi a vuoto. Mi sorride soddisfatto e mi fa, per quello che mi costano me le farò andare bene, le mette sotto al braccio a mò di baguette, e se ne va fiero e orgoglioso verso la cassa. Osservo il suo passo deciso, e rido immaginando le imprecazioni della moglie quando se lo vedrà comparire con la spesa totalmente inutile.
Era il dicembre 2019 e per me erano gli ultimi giorni da commesso in quell’esercizio. Vidi persone portarsi buste di plastica con le tavolette sporche di urina, e gente litigare per prodotti venduti a prezzi stracciati perché mal funzionanti. Poi è arrivato il covid ma, a ben pensarci, la catastrofe era già iniziata.
P.S. forse un giorno vi racconterò di quando, da venditore porta a porta, incontrai una donna che mi spiegò che il mondo sta per essere invaso dall’ondata nera e, sempre in via confidenziale, mi spiegò la vera natura di Mario Draghi e della regina Elisabetta!
Era il 23 febbraio, verso le 11 del mattino. Avevo appena finito di pulire il bagno e stavo per apprestarmi a impostare il tabellino perché nel pomeriggio avrei dovuto seguire una partita di calcio. Alpago – SanMartinoColle. La lunghezza dell’articolo è appuntata sull’agenda: tabellino/2600 cronaca/1200 interviste (i numeri indicano le battute). Dovevo pure scendere in campo per fotografare le formazioni schierate.
Verso le 11 mi arriva un messaggio via uozap dalla redazione. La partita non si gioca per precauzione, tutte le manifestazioni sportive sono sospese a data da destinarsi.
Va da sé che quella partita, come tante altre, non si è più giocata, e mi pare inutile parlare degli accadimenti seguenti.
Mercoledì scorso arriva un nuovo messaggio dalla redazione. Sei libero domenica. Si, sono operativo. L’Alpago gioca in casa. Vado a controllare nel sito per vedere l’avversaria e rimango piacevolmente stupito: SanMicheleColle. Per il sottoscritto la nuova stagione da cronista si riapre nel medesimo punto in cui si era interrotta.
Segno del destino? Non ne ho idea e nemmeno mi interessa. Ma una risata l’ho comunque fatta perché da allora molto in me, e nella mia vita, è cambiato, tanto che quella data mi sembra distante lustri, e non quella manciata di mesi trascorsi da febbraio a oggi.
Facendo pulizia di vecchi file ho trovato le annotazioni conseguenti a un appuntamento al buio. Avevo dimenticato questo avvenimento e, rileggendo le poche informazioni scritte a suo tempo, mi domando perché abbia abbandonato la divertente pratica di conoscere persone a caso, privandomi così della possibilità di incontrare ragazze caratterizzate da singolari peculiarità.
Innanzi tutto tengo a precisare che Samantha, il nome della protagonista, è di pura finzione; siamo usciti un’unica volta e la messaggistica, prima e dopo l’incontro, è durata poche settimane – è perdonabile, quindi, questa mia dimenticanza (amnesia ben diversa dall’oblio in HO SCORDATO IL NOME DELLA RAGAZZA CON CUI SONO USCITO PER MESI). In compenso ricordo la sua provenienza, Mogliano Veneto, e della gonna plissettata nera e corta indossata per l’appuntamento (particolare di rilevante importanza nel proseguo della vicenda).
La storia ruota attorno alla stessa città: Conegliano. Una mattina, mentre faccio colazione in un bar mai frequentato prima incontro casualmente X, ex compagno delle superiori. Parlando del più e del meno gli racconto di essermi lasciato alle spalle un periodo incasinato e di voler conoscere qualche nuova ragazza. Per magia spunta il nome di Samantha con tanto di numero telefonico. È l’amica di un’amica e pure lei sembra alla ricerca di novità sento se le va che le giri il tuo numero. Trascorrono due giorni dall’incontro con X e la trama di sms con Samantha prende forma.
Ci facciamo una birra a Conegliano, mi scrive, ma incontriamoci fuori dal centro così ci facciamo una passeggiata. Al sottoscritto va bene, e stabiliamo luogo e ora per l’incontro.
Samantha si rivela molto carina e, come già accennato in precedenza, indossa gonna e maglietta nera anonima, e un giubbetto di pelle (vi lascio indovinare il colore). I capelli, mori e lunghi, li ha raccolti in una treccia adagiata sulla spalla sinistra.
È distante il pub? A una ventina di minuti, dico. Bene io sto davanti tu guidami… questo breve dialogo avviene dopo esserci presentati. Troppo confuso per rimanere interdetto faccio come Samantha desidera e, se escludo le volte in cui si gira per controllare che il distanziamento di due metri sia rispettato (la ragazza aveva forse previsto le normative in merito Covid19 con 10 anni d’anticipo?!), le uniche parole intercorse vertono esclusivamente sulle istruzioni impartitele per raggiungere il locale.
Al pub la sinfonia sembra ripetersi. Si aggira cercando il tavolino ideale e intanto mi spedisce a ordinare due birre.
Ti ho accennato che sono disoccupata nei messaggi? Sì, le dico sedendomi di fronte. Oggi ho fatto un colloquio. E come è andato? È per un posto in un’impresa di pompe funebri. La domanda postale era differente ma evito di sottolinearlo per non inimicarmela dopo dieci secondi. L’idea di vestire e truccare i cadaveri mi eccita una casino (parole sue, giuro). Benedetto sia il gestore che arriva con tempestività a servirci le birre interrompendo un discorso che, successivamente, riesco a indirizzare verso una lista di argomenti più consoni a una conversazione qualunquista. Esci da una storia complicata; cosa hai studiato; credi agli oroscopi e menate varie.
Facciamo un brindisi a noi due? Molto volentieri, dico e noto il modo con cui afferra il boccale. Samantha lo avvolge con le mani come si fa con una tazza di cioccolata calda per infondere tepore alle mani. Senti come è fredda questa birra, dice seria, chissà se anche i cadaveri lo sono altrettanto.
Accantoniamo le teorie freudiane in materia di Eros e Thanatos e concentriamoci sulla mia fantasia. Mi figuro Samantha intenta a strusciarsi languida e sensuale su un morto (rigido pure lì) e la mia libido decide di abbandonare il mio, di corpo – breve cronaca di un’erezione mancata.
A cosa stai pensando? Lo vuoi proprio sapere, le chiedo. Non serve credo di immaginarlo e forse… [sorriso compiaciuto]. Siamo due tipi dalla fervida immaginazione, le dico. Decisamente, dice e inizia a raccontare vicende minori concernenti la storia d’amore che ha appena concluso, tediandomi come mai m’era capitato.
Le birre finiscono, come i suoi racconti, e ci avviamo verso il parcheggio. Di nuovo chiede di fare strada lasciando il sottoscritto nelle retrovie distanziato di un metro, stavolta.
Mi hai guardato il culo prima? Se dicessi di no mentirei, rispondo. Bene perché voglio che mi guardi il culo mentre camminiamo, e felice come una bimba solleva la gonna mettendo in mostra le mutandine viola (gesto che compirà ripetutamente). Qualcosa riprende vita e non mi riferisco al cadavere menzionato in precedenza. Arriviamo alle automobili e la serata sembra svoltare in meglio. Ci scambiamo qualche bacio e alcune carezze, poi mi invita a salire sulla sua vettura.
Scusami se non ti faccio un pompino anche se ne avrei voglia ho già un amico di scopate e mi basta non vorrei incasinare troppo la mia vita. Va bene, le dico, non mi sembra di avertelo chiesto. E lei sorride allo stesso modo di quando eravamo in birreria: il sangue mi si gela, e qualcos’altro appassisce con codardia. Spero proprio mi assumano all’agenzia di pompe funebri ci tengo così tanto. Te lo auguro, le dico. Che carino, esclama baciandomi e ci salutiamo. Salgo nella mia macchina e la guardo scrivere un sms, poi se ne va (mi verrebbe da dire per sempre, ma…).
Se non avessi annotato i punti salienti di questa breve serata, di Samantha (chissà per quale motivo evitai di scrivermi il suo nome, ero convinto di rivederla?) avrei dimenticato tutto: dalle mutandine viola, alla gonna plissettata; dalla treccia corvina, allo sguardo nero e intenso – ma al contempo vuoto. Avrei scordato lo scambio di messaggi che perdurò qualche settimana in cui mi narrò lo stato della sua vita amorosa/sessuale, e di come l’agenzia di “becchinaggio” rifiutò la sua candidatura; delle paranoie dovute alla disoccupazione, alle foto del suo culo inviatemi perché, come amava ripetere, desiderava non lo dimenticassi. Ma, in un file intitolato “sangue freddo” ho ritrovato tutto ciò e, rileggendo l’andamento di quell’appuntamento, la sua figura è ritornata con prepotenza a invadermi la mente. Solo una cosa manca per completare questo quadro: avrà esaudito la fantasia necrofila che si portava appresso?
Chissà quanti/e si stanno annoiando come la ragazza di questo breve ritratto. E mi sembra sia passata un’eternità dall’ultima volta in cui l’ho rivista, sempre nella solita posa, mentre attendeva nuovi/e clienti.
La vita nell’ultimo periodo sta percorrendo ritmi differenti, e a volte soporiferi, e come la protagonista mi scopro, in alcuni momenti, a guardare la strada sperando in un avvenimento che rompa questa placida monotonia 🙂
Se ne sta distesa sul bancone sorreggendo la testa con la mano a formare un triangolo equilatero. Lo sguardo annoiato rivolto ai passanti completa il quadro.
Sopra la di lei testa, appeso alla parete a cui dà le spalle, un maxi schermo proietta una partita di hockey. Tizzi scivolano con maestria sul ghiaccio rincorrendo un dischetto. Lo colpiscono con mazze a forma di L altrettanto annoiata. Nella postazione collocata alla di lei destra, il collega scruta un piccolo monitor agitando febbrilmente le dita. Pare poco propenso a intavolare una discussione, sia pure superficiale. E lei pare arenarsi nel tedio.
Io, passando con andatura spedita, nell’istante di un’occhiata memorizzo più dettagli possibile.
Lei ha i capelli mori raccolti in uno chignon imperfetto. Il collega indossa occhiali, e sfoggia una sottile striscia di barba che, correndo da basetta a basetta, ricopre il mento. Forse è solo un gioco della memoria che tenta…
Ho una domanda da porre a tutti quei sociologi, politici, esperti sanitari, e altre categorie con laurea annessa che continuano ad ammonirci ricordando che il distanziamento sociale sarà disposto finché non ci sarà più pericolo. Cambieranno le nostre abitudini relazionali, alimentari, eccetera eccetera. Vorrei poterli abbracciare per infondere loro ottimismo e, sulla spinta di questa ondata di positività simile a quella degli anni della Milano da bere, osservo sconsolato gli ultimi preservativi con scadenza ottobre 2022 domandandomi se capiterà di usarli in un prossimo futuro – non che io sia un gran consumatore di questo prodotto di prima necessità, ho una vita sessuale abbastanza livellata verso il basso – però voglio ancora sperarci, e intanto la mia mente bislacca rivà a un fatto accaduto durante il servizio militare.
Spulciando nel manuale dei diritti e dei doveri del bravo soldatino il sottoscritto, in cricca con altri due compagni, scoprì che avevamo diritto a un preservativo ogni tot di giorni dall’inizio del servizio. Apriti cielo! Seduti a tavolino come ligi ragionieri iniziamo i calcoli per stabilire quanti preservativi (marchiati EI) ci spettassero e, con tanto di codice, ci dirigemmo in infermeria a richiedere ciò che ci spettava di diritto. Il nostro compare di servizio aprì l’armadio in cui era custodito il prezioso tesoro e apriti cielo per la seconda volta! Scatole su scatole EI colme di preservativi. Specificammo la quantità spettante a ogni membro della ghenga e il nostro compare, senza battere ciglio, ci fornì quanto dovuto annotando sul registro la distribuzione come si soleva fare. Fine prima parte di una storia felice.
Seduti sulla scalinata della camerata iniziammo a fantasticare su possibili prestazioni sessuali in associazione con ipotetiche signorine calde e disinibite. Tu quando esci? Prima del dieci agosto non se ne parla, dico io, ho un mese abbondante da passare qui dentro, e tu? Sono di servizio per i prossimi due fine settimana quindi campa cavallo. Io ho la morosa ancora a Modena e non so quanto ci vedremo. Brusca conclusione della storia felice. Però dobbiamo usarli ‘sti cosi o facciamo la figura dei pirla, dice uno. Fa caldo non trovate, dice l’altro. Insceniamo una guerra di gavettoni siamo o non siamo soldati, propone il terzo. E fu così che in un sabato pomeriggio di luglio, con la caserma quasi deserta, dimostrando quel classico ingegno tipico dell’italica popolazione nei momenti di crisi, ricreammo una guerriglia pseudo-urbana usando i preservativi a mo’ di gavettoni. Chissà cosa avrebbero sentenziato gli stessi sociologi, politici, esperti sanitari, e altre categorie con laurea annessa che in questo momento ci ammoniscono, dalle loro postazioni, di mantenere le distanze incapaci, al contempo, di concordare una strategia comunicativa adeguata. Chissà. Comunque sia, cari eminenti signori, i miei preservativi (3 contati) scadono a ottobre 2022, avrò occasione di utilizzarli con qualche calda e disinibita signora o posso dichiarare guerra senza frontiere a qualche vicino in previsione di un’estate torrida?
Sai cosa vorrei? Mi piacerebbe sapere se ti è capitato qualche fatto curioso o buffo durante questa quarantena. E non parlo di un avvenimento da prima pagina. No. Voglio mi racconti un piccolo evento capace di rompere la monotonia di questa quarantena. Può trattarsi di una emozione, o di qualche accadimento visto dal balcone o dalla finestra. Magari puoi descrivere il brivido provato nel portare fuori la spazzatura (azione che in altri momenti ti avrebbe fatto sbuffare) o raccontarmi una telefonata inaspettata.
Mi piacerebbe saperlo perché è un modo per condividere, per conoscerci, per confrontarci. E magari costruire un racconto collettivo.
E così, per rompere gli indugi, inizio col descrivere brevemente una richiesta fattami da una carissima amica. «Ho bisogno del tuo aiuto» mi dice «per riscrivere la presentazione del nostro gruppo. La voglio divertente e accattivante». Le confermo la mia disponibilità e così ora mi ritrovo a riversare su carta idee per raccontare le gesta di una congrega di mattacchioni/e. Ti starai chiedendo di cosa si occupi questo famigerato gruppo, e la risposta è presto detta: BDSM – il sottoscritto poco conosce di quest’arte, ma come rifiutare un simile favore?! (se hai qualche suggerimento da darmi è ben accetto, brancolo bendato nel buio!).
E così, se ti va di raccontare qualcosa, qualsiasi cosa!, sentiti libera/o di commentare questo post o, se preferisci farlo in modo privato, nella sezione CONTATTI (pigia sopra la parola) troverai la mail a cui scrivermi.
Aspetto la tua storia (le vostre storie) per costruire un racconto corale. Dimenticavo… se non risponderò subito non offenderti, sono alle prese con corde, fruste e minzioni ;D
Essere mattinieri, di questi tempi, ha il suo vantaggio. Alle 06.30 del mattino Ponte nelle Alpi è vuota, se escludo i merli e le gazze ladre svolazzanti sui prati o appollaiate su qualche tetto o cancello. Una leggera pioggia mi accarezza il viso, e l’aria gelida preannuncia neve in quota – il brivido lungo la spina dorsale è l’inequivocabile conferma a ciò che verrà.
In questa mia passeggiata di libertà incrocio una donna in compagnia di un magnifico lupo cecoslovacco e il titolare del piccolo alimentari del centro. Osservo due pattuglie dei carabinieri perlustrare le strade, e guardo i lavoratori del supermercato prepararsi al proprio turno. Qualche macchina sfreccia sonnolenta. Tutto è fermo, salvo i pensieri. Viaggiano liberi fottendosene del contagio, ed è giusto così. E intasano la mente con migliaia di domande, egoiste e non.
Mi domando se al termine di questo periodo avrò ancora un lavoro – e conseguenti paure. Penso a mia madre, debilitata, augurandole(mi) non si infetti. E penso a coloro in prima linea e alla prova psicofisica che stanno affrontando. A chi sta comunque lavorando, e alle comprensibili paure nello stare vicino a colleghi e/o clienti. E il pensiero va a chi ha vissuto lutti in questi giorni, e all’impossibilità di esternare il dolore in un rito funebre che è sempre liberatorio.
Ed è per tutto questo, e altro ancora, se sono uscito di casa. Perché camminare è un esercizio spirituale. E se mi vedete sprovvisto d’ombrello, non preoccupatevi. Prendere la pioggia è un’ottima terapia per lavare i pensieri funesti e caricare il corpo con nuove energie.
Se siete alla ricerca di qualche lettura ho pubblicato due brevi recensioni di due volumi tutti al femminile. Se cliccate sul titolo del libro andrete direttamente alla pagina. Buona lettura!