Feticismo mattutino

Feticismo mattutino.

Dopo aver attraversato ponte Sarajevo (toh, chi si rivede, ne ho parlato anche QUI), stamattina mi sono imbattuto in cartelloni pubblicitari singolari.

Pubblicizzati con scritte dai font colorati e accattivanti, pezzi di carne da macelleria vengono esposti ai bulbi oculari dei/delle passanti come fossero gioielli o prodotti super esclusivi. Confesso di avere strabuzzato gli occhi, e non perché sia un vegetariano oltranzista.

Il feticismo per il cibo, a mio giudizio, ci sta sfuggendo di mano. Non so se sia dovuto al mondo dei social in cui è ormai impossibile evitare immagini di pietanze, o ai mille programmi televisivi in cui cuochi famosi come star del cinema ci propinano le loro creazioni, sta di fatto che questo continuo martellare di immagini di cibo sta assumendo, sempre a mio modesto parere, un sapore malsano.

E così, mentre cerco di immaginare chi abbia creato questa campagna pubblicitaria, mi domando se, e quando, questo genere di feticismo assumerà le sembianze delle pellicole di Deodato.

Rivalutiamo l’importanza di Cannibal Holocaust, gente. Rivalutiamo il cinema italiano più coraggioso e libero.

Cannibal holocaust lo puoi trovare al seguente link: https://amzn.to/2RN94gg

Robert Kerman in Cannibal Holocaust

Stamattina l’ho incrociato in zona stazione di Belluno

Stamattina l’ho incrociato in zona stazione di Belluno, e mi è parso un fatto strano. Solitamente lo incontro sempre nei pressi di ponte Sarajevo, o lungo la ciclabile che segue il corso del Piave. Addirittura una volta l’ho visto camminare in una rotonda infischiandosene dei camion e delle automobili, e di sera mi è capitato di vederlo zigzagare nella galleria vicino Lambioi ma mai, fino a stamane, in centro città.

Non lo conosco, e nemmeno so quale sia il suo nome. A colpirmi, oltre alla strana borsa di plastica rigida ormai consumata che tiene sotto al braccio, sono la camminata dalle lunghe falcate, e una giacca troppo grande in cui sembra che le maniche vogliano scappare da quel corpo così striminzito.

Ho notato quest’uomo perché lo incrocio almeno due volte alla settimana, sempre a piedi, con la medesima borsa, e quella giacca (per la precisione un piumino) sia con 10° sotto zero, sia con 30° all’ombra. Cammina in silenzio, e spesso sul volto mostra un sorriso triste, quasi spento. E mi incuriosisce. Non mi interessa conoscere il suo nome, e nemmeno la sua storia. Sarei curioso di vedere dove i suoi passi lo portino, e se cammini tutto il giorno per sfuggire ai demoni che lo inseguono perché, anche se certezze non ne ho, l’istinto mi dice che qualcosa lo tallona tanto da spingerlo a non fermarsi mai. Vive un’esistenza dentro un piumino e in lunghe falcate. Percorre ponti e marciapiedi di Belluno sorridendo triste. L’incrocio, lo noto, e in me vivo la dicotomia attrazione/repulsione per tutte le anime in pena.

La Linea – Osvaldo Cavandoli

E cerco di tenere la mente occupata mentre Viscerotica è in fase correzione di bozze. Le giornate si allungano sempre più, e la mia prossima silloge sta per venire alla luce.

QUI la mia prima raccolta di poesie: Di luce e di oscurità.

Quando scoprii lo yoga

Quando scoprii lo yoga, in uno dei libri letti sul tema, si accennava al fatto che, nel proseguimento costante della pratica, il desiderio di cibarsi di carne bianca e rossa si sarebbe affievolito fino a sparire. Da carnivoro qual ero, rimasi interdetto leggendo tali parole ma, con lo trascorrere delle settimane e della pratica costante, mi accorsi di acquistarne sempre meno, fino a eliminarla completamente dalla dieta. Credo siano passati almeno 7 anni da allora, e i cambiamenti fisici e mentali li percepisco a pieno ora. Un mutamento che apprezzo giorno dopo giorno. Ma la storia che voglio raccontare è un’altra, e il preambolo mi è servito per raccontare le ultime vicende alimentari.

Belluno, zona Baldenich. Tra mercoledì e venerdì aiuto il mio titolare nella posa di una pergola, e le pause pranzo le trascorro proprio nel locale interessato. Una parentesi lavorativa nuova e interessante, segnata dal piacere e dalla soddisfazione del lavoro fisico in compagnia di altre persone dalle esperienze professionali più disparate.

Mercoledì, poco prima di mezzogiorno, una delle cameriere esce a chiedere che tipi di panini vogliamo. Formaggio e mortadella per uno. Due con prosciutto e formaggio. Per me uno senza carne, rispondo sorridendo. Come lo faccio? Col formaggio, ne sono ghiotto. Ma il formaggio è fatto col latte di mucca voi vegani non potete mangiarlo. Mai detto di essere vegano ho solo chiesto di evitare gli affettati e se vuoi mettermi del salmone sarò doppiamente felice. Te lo faccio vegetariano. Perfetto. E se ne va scuotendo la testa come avessi chiesto dell’oro a prezzo scontato.

Giovedì mi precisa di aver preparato un panino uguale al giorno prima con tono ammonitorio, e venerdì mi becco la titolare. Volete la salsa rosa con i panini e i toast, chiede a tutti. Per me no grazie, il panino va bene così. Lo domando perché con voi vegetariani non si sa mai. (…) La guardo, sorrido, e mi domando se i vegetariani boicottino con ardore la salsa rosa.

Arrivato a casa faccio una ricerca in rete ma non trovo nulla. Il dubbio mi assilla tanto da generare veri e propri viaggi mentali in cui sfilano cortei di nazi-vegani/vegetariani brandire cartelli con scritto: al bando la salsa rosa simbolo opprimente della massa carnivora. Liberiamoci dall’aggressione carnivoro-borghese. No salsa rosa. Tutto questo solo per aver chiesto un panino senza carne. E questa è una delle tante vicende che mi capitano quando mangio fuori casa. Ci ho tatto il callo, ma qualche domanda me la pongo ogni volta. Intanto la veranda con pergola è venuta una meraviglia, e i pensionati (durante e nel post cantiere) hanno fatto i complimenti per il bel lavoro, e nessuno di loro ha avuto da ridire a riguardo la mia dieta personale. Continuo a fare yoga ogni mattina, e l’odore di carne morta continua a darmi fastidio. Ma voi, la mangiate la salsa rosa? E la carne? Vi è mai capitata una situazione simile? E soprattutto, ce l’avete un pensionato che vi fa i complimenti per il lavoro svolto?

In una zona generica tra Cavarzano e Cusighe

L’ho visto stamattina, alla fermata dell’autobus, in una zona generica tra Cavarzano e Cusighe. Indossava pantaloncini mimetici, e una maglietta rossa con la marca di birra che compare nella seria dei Simpson. Sulla fronte, a mo’ di visiera, teneva un paio di occhialini dalle piccole lenti rettangolari gialle che calava sugli occhi con fare frenetico. Erano quasi le 11, e la sua giornata pareva già protrarsi verso uno scialbo infinito. Emanava stridore, se paragonato alla nonna con nipotino in attesa dello stesso autobus. Fermi, nella placida immobilità africana, anziana e bambino se ne stavano mano nella mano. Lui, continuando a giocare con gli occhialini, danzava sul posto cercando di trovare un costante equilibrio alternando i piedi. Occhi piegati verso il basso, cercava contegno nel ballo alterato. Ci siamo scambiati uno sguardo della serie “ti conosco” anche se in questa esistenza mai ci eravamo visti, e abbiamo spezzato l’incontro tra le nostre esistenze con la stessa velocità con cui si sono sfiorate. Lui barcollando, io continuando a camminare inseguito dalla mia ombra. Eppure conosco la sua storia, o potrei asserire di averla letta tra i suoi passi. Così come l’ho letta per anni in volti di amici e conoscenti, scioccamente convinto che quel tipo di droga sintetica fosse oramai finita nel dimenticatoio. Passata di moda come certi capi di vestiario, o canzonette estive nate per durare tre mesi o poco più. Démodé come quel suo stato di alterazione così distante dagli standard attuali. E se negli auricolari voci sconosciute parlavano della Bolognina e Piazza di Spagna, la mente mi bombardava con pezzi techno anacronistici rispetto a quella zona generica tra Cavarzano e Cusighe; anacronistici rispetto alla musica di tendenza odierna.


I miei racconti li trovate QUI

Borgo Piave

Capita associ persone (importanti o meno) a luoghi specifici, e credo sia una prassi comune a tanti e a tante.

Può essere il ricordo del primo bacio, oppure di un appuntamento tanto desiderato. Può capitare per un fatto spiacevole o traumatico, o per un avvenimento inspiegabile. Imprimiamo, in noi stessi, il volto di una persona in un luogo specifico per sprigionare la magia del ricordo. Perché, in fin dei conti, c’è qualcosa di magico nell’associazione volto-luogo. È un legame che crea sogni, visioni, emozioni.

Ne ho molti, di questi luoghi, e tutti sono associati a situazioni strane e simpatiche. L’ultimo, in ordine di arrivo, è un quartiere di Belluno: Borgo Piave. La “scoperta” è merito di I. che, durante una serata in cui rifuggivamo la presenza umana tra Longarone e Belluno, mi ha condotto in questo quartiere molto affascinante. Ci siamo distesi sull’argine del Piave, e lì abbiamo concluso la nottata parlando del più e del meno.

Dovete sapere che il rapporto con I. si può definire amicizia intima; e in questa amicizia il sesso è un’esperienza speciale. Se ci guardo dal di fuori, mi pare di osservare due bambini mentre compiono una marachella. Ridiamo spensierati scambiandoci aneddoti e racconti e, lo confesso, con lei il sesso è pura spensieratezza. Per me equivale a rilassamento fisico e intellettuale. E sorrido per questa associazione tra I. e Borgo Piave, un quartiere costruito a ridosso della sponda destra del Piave che ti invita a salire a Belluno percorrendo a piedi il centro storico ricco di angoli sinuosi e vicoletti dai lineamenti misteriosi.

Sorrido perché il Piave è parte costante della mia vita. Mio padre è cresciuto a stretto contatto (lato sinistro) con questo fiume, e da tre anni ci vivo vicino pure io. Tra i tanti aneddoti legati al fiume caro alla Patria, nella provincia di Treviso è importante precisare da che lato si proviene. Destra Piave sta a indicare la pianura, l’accento veneto molto marcato nella parlata, e un’apertura mentale che si riscontra meno per chi è nato nella Sinistra, come il sottoscritto. E, tra questi aneddoti, ce n’è uno in particolare con protagonista mio padre.

In gioventù (lo confessò una sera) i carabinieri gli sequestrarono tre Guzzi e 7 barra 8 automobili (il numero esatto non lo ricordava) perché si divertiva a partecipare/organizzare gare clandestine sul letto del fiume interessato dall’estrazione di ghiaia. E quando gli chiesi che fine fecero quei bolidi, papà –ridendo come un bambino colto sul fatto mentre compie una marachella– rispose che forse erano ancora nel deposito dell’Arma. «Mi vergognavo troppo per andare a riprenderli –al tempo erano meno fiscali– e così» disse divertito «dopo ogni sequestro, mi compravo un’altra moto o una macchina». E mi fa ridere ripensare al suo volto mentre mi raccontava le imprese al volante perché ho lo stesso sguardo bricconcello mentre ripenso ai giochi con I., colei che, in una notte passata a zonzo tra Longarone e Belluno, mi portò a Borgo Piave per fuggire dal marasma umano imprimendo così un nuovo ricordo nella mia mente già satura di associazioni bislacche.

borgo piave 1

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Una mattina qualunque di un grigio Gennaio

Nell’agenda blu sprazzi di idee s’inseguono senza coerenza.

E le pagine bianche: cuscini turchese per coricarsi su polvere di cacao.

[…] e la vetrata incornicia la Questura; tavolini vuoti affollano il marciapiede.

Tratteggerei con piacere i lineamenti del bigio cielo, e dei tanti scolari (volti cupi a tratti adombrati).

Un autobus svolta e nell’agenda blu annoto scorci di un mondo girevole.

Nel breve istante della nascita di un’idea ho associato un nome all’asse di rotazione.