Allora tu sei quello nuovo, mi fa sorridendo. Sì, rispondo, ho sostituito G. che se n’è andato in pensione. Ora fa la bella vita, dico ridendo.
Lo sai quanti anni ho? Mi fa di rimando. Mi verrebbe da dire 65/70 ma lui mi blocca con la mano e mi fa, sono in pensione da 38 anni. Ne ho 81. La mia faccia stupita lo invoglia a parlare e inzia a raccontarmi di quando suo padre si trasferì a Milano per fare lo stagnino, mettendo al mondo 9 figli.
Mangiavamo polenta dal lunedì al sabato, continua andando a ritroso con lo sguardo in cerca di quei ricordi. La domenica invece mangiavamo brodo. Mia madre il sabato andava in macelleria a comprare le ossa, bada bene, le ossa, e con quelle ci faceva il brodo, e che brodo! I suoi occhi si illuminano e gli compare un sorriso capace di cancellare stenti e miserie.
Poi, quando avevo 11 anni siamo tornati qui, in Comelico, e tutto è cambiato. Il mondo oggi è cambiato. Tranne il suo accento lombardo, penso. Guarda gli utensili da affilare, e li rimira uno a uno. È tutto lavoro per me?! Dice felice di poter mettere a frutto la propria arte. Sì sì, gli faccio. Oh, ma non te li sistemo mica subito però. Si goda le feste natalizie, tempo ce n’è, gli dico tranquilizzandolo.
Afferra il sacco con le lame e ci auguriamo buone feste. Tempo ce n’è, ripeto, e a guardarlo muoversi con quel passo corto ma spedito sorrido perché, a quest’uomo, il tempo sembra aver concesso ancora molte stagioni da scoprire.
