amore o possesso?

L’articolo di oggi è particolare. È un componimento a 4 mani, o doppio sguardo se preferisci. È il frutto di un’interazione tra il sottoscritto e il blog Le Dritte di Simo. Di cosa parla? A te scoprirlo anche se, già dal titolo, qualcosa lo potresti intuire. Non aggiungo altro se non Buona Lettura e un piccolo suggerimento: vai a scoprire il mondo di Simo, non te ne pentirai!

lo sguardo di le dritte di simo

Quando si intravede una forma di possesso nei confronti di un’altra persona viene quasi spontaneo giustificare questo atteggiamento come gelosia del partner, e se si è gelosi automaticamente la motivazione risiede nell’essere innamorati. Questa logica risulta essere conveniente per chi assume un comportamento del genere, ma se solo si analizzasse in modo approfondito la possessività che nasce in rapporti nuovi o consolidati allora non ci si nasconderebbe dietro ad un ‘sono geloso/a’.

Amare il più delle volte viene confuso o associato con il possedere l’individuo. Sia nei rapporti familiari che di coppia il possesso viene considerato una prerogativa. Io amo te quindi tu appartieni a me, allontanando qualsiasi forma di soggettività. In una relazione ogni protagonista deve sentirsi tale e di conseguenza deve esserci una distanza funzionale tra essi. Stare insieme non deve portare uno dei due o entrambi ad essere considerati oggetti. Si esatto, possedere qualcuno priva quella persona della propria libertà di azione e di pensiero. Un legame sentimentale non è una catena immaginaria, non è un cappio al collo, ma è condividere di comune accordo la propria vita senza mai arrivare a perdere il controllo sul proprio essere. L’amore è incompatibile con il possesso. Non si ama chi si considera proprietà privata. Una relazione non implica un obbligo, bensì si basa su una libertà di scelta. Quindi, se ci si sente forzati per riconoscenza, per generosità, per convenienza, vuol dire che il possesso ha preso il sopravvento. Possedere una persona è sinonimo di insicurezza personale, è equivalente a rubare la libertà altrui facendola passare come forma di affetto. Le favole finiscono con ‘vissero per sempre felici e contenti’ frase che racchiude in bella vetrina il possesso respingendo qualsiasi attenzione alla persona, qualsiasi affettuosità e qualsiasi forma di legame amoroso. Il possesso è il mostro con mille occhi e mille mani che avvinghia la preda e la soffoca. Non serve vivere forme di possesso estremo, basta anche solo far sentire in colpa la persona per la libertà che prova a mostrare, ricattandola e accusandola di non saper amare. Provate ad immaginare un oggetto in una bella teca trasparente in cui tutti possono ammirarlo ma nessuno può toccare, l’oggetto esiste nel mondo ma non può interagire con il mondo. Provate a pensare agli animali di un circo in cui mostrano il loro lato addomesticato ma non la loro vera natura. Siete sicuri che non state vivendo in una teca o in un circo?

lo sguardo di spore poetiche

Nella realtà in cui viviamo, uno dei sinonimi di amore è possesso. A riprova di ciò la cronaca giornaliera fornisce esempi di uomini che, incapaci di accettare la “perdita” della donna “amata”, sfogano il dolore del possesso perduto attraverso crimini violenti e delittuosi.

L’esclusività del compagno/a parrebbe essere prerogativa intrinseca di una relazione. Se non fai, ti comporti, agisci per dimostrare il tuo amore nei miei confronti, allora il tuo sentimento è falso. Chi non ha mai usato simili espressioni o se l’è sentite rivolgere come atto d’accusa dal partner? L’insicurezza si fa imperante, e la’ltro diviene la cause delle proprie mancanze.

Una relazione sana, al contrario, si fonda su libertà e rispetto. Bisogni e necessità del partner dovrebbero essere l’occasione per conoscersi e progredire assieme. Un veicolo per raggiungere la complicità e vivere la scoperta dell’intimità come un gioco.

Relazionarsi significa affidarsi all’altro/a senza snaturare il proprio essere; senza riversare sul partner il bisogno che questi si faccia carico del vuoto creato dall’insicurezza; senza creare un legame basato sull’inganno.

Relazionarsi è guardare la propria immagine riflessa negli occhi dell’altro/a.

Il sole abbaglia, tremule nubi suscitano terrore

Il sole abbaglia, tremule nubi suscitano terrore,

Mi raggomitolo su me stessa e ho paura di guardare,

Non c’è un confine dietro cui ci siano solo sogni,

Ovunque fuoco, neve, fuoco,

Posso scegliere qualunque direzione, non ne voglio nessuna,

Perché le tenebre squarciano con una fiamma il cielo.

Marzena Broda “il sole abbaglia, tremule nubi suscitano terrore”
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Verne – Novembre

[…]

Venivi dall’atrio del cuore

portando le chiavi del sole

domani faremo l’amore

e niente potrà mai cambiare.

Di questo rimase il rumore

d’un sogno che come nel mare

s’infrange su nere scogliere

d’un nero che può cancellare.

Si dice che il sogno dell’uomo

è far sì che il proprio domani

sia senza calar del Sole

ma dimmi com’è senza amare?

Ma i sogni son figli del cuore

creati in quanto dolore

spogliati della lor ragione

per questo mandati a morire.

Verne – Materia (2006) Carmelo & Giuseppe Orlando, Massimiliano Pagliuso

Ho visto 4 concerti dei Novembre: Treviso, Milano, Padova, Dinkelsbühl. Ricordo ancora il primo, al New Age. Era il tour di presentazione di Novembrine Waltz, e i Novembre dividevano il palco con altri gruppi metal italici. E il sottoscritto era lì, in quello strano incrocio del New Age in cui ingresso dei camerini, bagni e bancone del bar convergevano in un unico punto. Ero lì. In attesa di una birra e dell’esibizione della prossima band. Sentii una gran pacca sulla spalla e girandomi, pronto per “mandare in mona” quello che credevo fosse un amico in vena di scherzi, mi ritrovai davanti Carmelo che mi disse Grande! Gran bella maglietta.

È difficile spiegare, a chi non segue la musica heavy metal, lo strano rapporto che c’è tra le band e i fan. È difficile spiegare la gioia di un ragazzo (poco più che ventenne) che si ritrova davanti al muso la faccia sorridente di uno dei suoi idoli. Ed è difficile spiegare quanto siano importanti, per i metallari, le magliette. Sono un tratto distintivo, un veicolo per trasmettere, oltre all’amore per un genere, anche le sensazioni/emozioni che un gruppo rappresenta.

Conservo ancora quella maglietta. Dopo 20 e più è ancora intatta, salvo per il colletto strappatosi dopo un concerto dei Grave Digger. L’ho conservata perché ho molti ricordi legati a essa e ai Novembre. Ricordi che si tramutano in sorrisi, e non solo. E per uno abituato a non conservare oggetti tangibili del passato, è davvero un fatto singolare. Singolare come la musica dei Novembre.

Diffido

Diffido delle stertte di mano fredde e dei sorrisi di circostanza; dei complimenti gratuiti e delle decisioni prese sull’onda dei sentimenti; dei superlativi e dei dispregiativi; dei santi e santoni e dei peccatori col megafono; delle recensioni inconcludenti e delle persone inconcludenti; delle bugie gentili e delle verità taciute; delle promesse politiche e dei facili complottismi. Diffido della mia mente, e della diffidenza in generale.

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GUERRA E PACE

La guerra è fredda
La guerra è limitata
La guerra è endemica
La guerra è ciclica

La pace è calda
La pace è contrattata
La pace è labile
La pace è ciclica

E noi che siamo esseri liberi
Un ciclo siamo macellati
E un ciclo siamo macellai
Un ciclo riempiamo gli arsenali
E un ciclo riempiamo i granai

Un ciclo gli arsenali
Un ciclo i granai
Un ciclo macellati
Un ciclo macellai

La pace è guerra
Con spreco di licenze
La guerra è pace
Con spreco di ordinanze

E noi siamo felici esseri liberi
Carne
Solo per caso, raramente
Qualche cosa d’altro
Un ciclo siamo macellati
E un ciclo siamo macellai
Un ciclo riempiamo gli arsenali
Un ciclo riempiamo i granai

Un ciclo macellati
E un ciclo macellai

La guerra è fredda
La guerra è limitata
La guerra è endemica
La guerra è ciclica

La guerra è un limite per le nostre escursioni
La pace è un limite per le nostre emozioni

La guerra è un limite per le nostre escursioni
La pace è un limite per le nostre emozioni

CCCP – FEDELI ALLA LINEA

05-04-…

Oggi è l’anniversario di due morti. Due musicisti capaci di segnare la mia, e non solo, crescita. Due esponenti di un genere, il grunge, che, come pochi altri, ha saputo tramutare in note la rabbia esistenziale.

Il 05 aprile 1994 Kurt Cobain si toglie la vita con un fucile. Il 5 aprile 2002 Layne Staley si toglie la vita con l’ennesima pera.

Kurt e i Nirvana sono stati il primo grande amore musicale. Staley e gli Alice in Chains sono venuti dopo. E mentre i Nirvana sono divenuti nel tempo una colonna sonora saltuaria, gli Alice in Chains sono una continua scoperta. La voce di Staley sofferente e ipnotica continua a rapirmi e trascinarmi in luoghi riflessivi e vivi.

Oggi è il ricordo del genere musicale della mia generazione. Un tuffo nel passato rimasto presente.

P.S. di Kurt ho già parlato in precedenza, se ti va di leggere il mio ricordo clicca al seguente link: https://sporepoetiche.wordpress.com/2022/01/30/lo-sai-chi-e-morto/

Ho lasciato liberi i commenti per sapere se ti sei mai avvicinato/a al grunge, e se hai ricordi in merito. Scrivili pure, mi farebbe molto piacere 🙂