lo sai chi è morto?

«Lo sai chi è morto?». Ero appena rientrato da scuola in uno stato di tristezza incazzata e mia madre pronunciava queste parole cercando di cogliere una reazione in me. Senza risponderle pensai Non può trattarsi di D. Non così presto.

Ieri sera, mentre pulivo salotto e cucinino ho inserito nel lettore il cd de In Utero – sì, ascolto ancora i compact disc – e alle prime note di Serve the servants la mente mi ha proiettato nell’estate del 1993 e al primo impatto con il grunge. Forte, intenso, liberatorio. Finalmente incontro sonorità capaci di descrivere il mondo che mi esplode dentro e faccio tabula rasa di tutto quello che avevo ascoltato in precedenza. Alice in Chains, Stone Temple Pilots e soprattutto Nirvana divengono compagni di viaggio e di emozioni, e quell’incontro segna il passaggio tra scuole medie e superiori e tutto quello che ne consegue.

Ricordo ancora l’emozione provata per In Utero. Da poco avevo compiuto 14 anni e l’uscita del nuovo album dei Nirvana rappresentava il più bel regalo di compleanno possibile. Furono 16 giorni di febbrile attesa ben ripagata quelli tra la mia “festa” e l’uscita dell’album, e quando finalmente arrivò la musicassetta in negozio, appena fui a casa ne feci una doppia copia per non sciupare l’originale. Con la voce di Kurt in sottofondo mi apprestavo a iniziare una nuova scuola in cui non conoscevo nessuno. E soprattutto cominciavo a confrontarmi con stati d’animo sempre più intensi.

E fu una mattina d’Aprile 1994, tra quelle nuove mura scolastiche, che un compagno di classe durante la ricreazione mi disse «lo sfigato di Cobain s’è sparato in testa. Solo agli sfigati come te possono piacere sfigati simili».

Non volli credergli. Abituato a subire scherzi cretini pensai fosse un nuovo modo escogitato dai soliti idioti per ferirmi. Con uno spintone lo mandai a espletare i propri bisogni e trovai rifugio in Bleach prima di riprendere le lezioni. Una strana sensazione però si era fatta strada in me putroppo e, nonostante la lotta interiore, la freddezza di quelle parole taglienti si fece più forte del mio desiderio di allontanare la realtà.

«Lo sai chi è morto?». Fu mia madre a porre la domanda appena rientrai a casa. Non può trattarsi di D. Non così presto pensai. Accesi la tv in cerca di un telegiornale e le parole di Dj Noise dette in ricreazione assunsero, purtroppo, concretezza.

In quel 5 Aprile 1994 il mio stato di tristezza incazzata si amplificò fragorosamente. La morte di Cobain rappresentò, oltre la perdita di un amico mai guardato negli occhi, la fine di certe illusioni. E quando mi capita di ripensare a lui e alla sua musica provo sempre un insieme di emozioni che vanno dalla tenerezza alla nostalgia canaglia.

Era l’estate 1993 quando la mia tristezza incazzata finalmente trovò il modo di esprimersi e, per quanto l’evidenza lo neghi, per me Kurt non è mai morto.

solo in quel momento accolgo

quando scopro che l’altro non è soltanto un essere vivente ma è una persona, quando conosco i sogni che lo fanno vivere, solo in quel momento accolgo

Haim Baharier

Questo pensiero mi riporta alla mente due donne che avrei voluto accogliere nella mia vita ma, all’atto pratico, ne sono rimaste fuori.

Perché?

Erano prive di sogni e ideali.

Parlavano senza mai esprimere il loro essere. E in quei loro torrenti di parole e pensieri annegavano sogni, desideri e ideali.

E ripensando ai pochi momenti trascorsi in loro compagnia, solo ora mi accorgo di quanto l’intensa curisiotà che mi spinse a cercarle – mista all’attrazione chimica – sia stata eguagliata dalla semplicità con cui mi allontanai.

Un passo a ritroso per allontanarmi dal vuoto dell’anima.

Un passo a ritroso per distanziarmi da donne che, nel mio sentire, percepii a metà.

telegram

Voi usate telegram? Lo chiedo perché mi capitano strane “connessioni” e desidero sapere se posso considerarmi un privilegiato o se faccio parte dei comuni mortali.

Fondalmentalmente sono due le “connessioni” che infestano il mio contatto come in un bel racconto horror:

  • signorine disinibite
  • donne allo stadio terminale

Le prime, che stranamente parlane di sé sempre al maschile, sono immancabilmente desiderose di informarmi a proposito del loro “piano sessuale”. Dopo gli approci iniziali in cui le invitavo a scassare il cazzo ad altri, ora adotto la tecnica del fervente religioso e così, scrivendo sermoni intensi e passionali ispirati a padre Brennan (vedi video sottostante) in cui invoco Dio (uno qualsiasi) la Bestia & compagnia bella, mi crediate o meno, ricevo 9 volte su 10 le più sentite scuse -> da questo particolare la mia mente ha dedotto che queste misteriose personagge sono di fede ortodossa [non fa una piega] e di conseguenza provengono dalla Madre Russia… e dove nasce telegram? Esatto! [complottisti scansatevi che fate pena se paragonati a me] Tutto questo per dire che forse telegram mi sta suggerendo di emigrare nella terra di Esenin e Majakovskij in modo che la mia vita sessuale subisca una svolta sconvolgente, e magari anche la mia poetica?

Le seconde “connessioni” invece riguardano donne di una certà, solitamente con tumore al cervello, che si sentono in dovere di lasciarmi in eredità i loro fantamilioni di euro solo se dirò loro di credere nel loro signore Gesù & compagnia bella. A differenza delle colleghe sopra citate, queste creature femminili dicono di risidere in Francia. Al che il mio cervello i domanda: in terra transalpina il tumore al cervello è contagioso? Come sono messi a indice Rt?

passo triste

passo triste

Mi sono accorto del suo passo triste perché è inverno. Fa freddo.

Quando esco a correre, verso le 5.30 del mattino, lei è una delle poche persone che incontro lungo il tragitto.

Testa bassa e sguardo pensieroso, attira la mia curiosità perché, oltre a trasmettere una sensazione mesta, il suo camminare è una sfida continua al tempo. Ogni movimento è lento, quasi irritante, e in quella lunga pausa tra un moto della gamba e l’altro, è come se riversasse tutta la pesantezza di vivere. Una pesantezza misurata in lunghi e innaturali secondi.

Spesso la vedo dirigersi alla fermata dell’autobus e, un’ora dopo, quando sto terminando la mia corsa, la noto ancora lì, stazionante alla fermata, in attesa di un mezzo che, proprio come lei, sembra non avere fretta nell’avanzare.

Mi sono accorto di lei, e di quel suo passo triste, perché le temperature mattutine (o per meglio dire notturne in quanto il sole è ancora un miraggio lontano) sono stabili sotto lo zero, e mi domando cosa la spinga a sfidare il gelo, in attesa immobile, per oltre un’ora.

Forse le afflizioni di cui soffre sono più pungenti del vento che spira dal Cadore, e quindi l’aria le è d’aiuto per scacciare la negatività. Oppure, come al sottoscritto, passato lo sconvolgimento del primo impatto col freddo, si ricarica si vitalità. Chissà. Magari è solo pura apparenza creata dalla mia mente che vede ciò che non è, e fantastica su drammi inesistenti. Sarà.

Stamattina, comunque, il termometro segnava -4°C, e del suo passo triste non c’era traccia lungo le strade.