LE DUE PAROLE CHE CAMBIANO IL CORSO DELLA VITA

Probabilmente conosci già la potenza di queste due semplici parole: mai più. Hanno la forza di cambiare il corso della vita perché, nel momento stesso in cui le pronunci, qualcosa scatta nell’intimo più profondo.

Immagina a come ti sei sentita/o dopo aver dichiarato il tuo amore a una persona, e questa ha reagito con freddezza. Scommetto che la sensazione iniziale è stata tremenda, e le giornate seguenti non siano state idilliache (probabilmente le definirai tra le peggiori di sempre) fino a quando, guardandoti allo specchio, ti sei detto/a “mai più”.

  • Mai più permetterò che i miei sentimenti vengano calpestati
  • Mai più mi farò incastrare da un lavoro in cui vengo sminuita/o
  • Mai più permetterò alla bilancia di dirmi che sono grassa/o
  • Mai più mi ritroverò a chiedere dei soldi in prestito, ecc.

Mai più. Quando giungi a pronunciare con convinzione queste due parole avviene la svolta, e la consapevolezza aumenta. Ma per arrivare a ciò devi prima prendere quello schiaffo morale che permette il cambiamento.

Nella mia vita, di schiaffi morali, ne ho presi un bel po’, e posso ricondurli tutti a un’unica sensazione: l’umiliazione.

Prima di pronunciare le fatidiche parole “mai più” ho sempre attraversato una fase di scoramento in cui, oltre a sentirmi patetico, ho vissuto con intensità proprio l’umiliazione, e lo rivendico. Lo rivendico perché è proprio nell’istante in cui penso ”sono una m…” che, guardandomi allo specchio, riesco a pronunciare le parole “mai più” e risollevarmi dal pantano in cui ero sprofondato. Raddrizzo le spalle, mi scruto attentamente gli occhi, e prendo quella decisione che, fino a poco prima, mi terrorizzava.

E di “mai più” ne ho pronunciati nella vita, non tanti, ma tutti custoditi gelosamente. L’ultimo, a esempio, è arrivato stamattina mentre meditavo dopo l’ennesima umiliazione, e ha portato con sé una frase che mi accompagna da anni:

quando tocchi il fondo c’è un’unica azione che puoi compiere: risalire

Me la regalò un terapista circa tre lustri fa. Era un periodo in cui vivevo come un automa. Mangiavo tanto per riempire il vuoto dovuto alla fame; lavoravo senza sosta; e durante il fine settimana dormivo fino a 14 ore filate. Se non ci fosse stata la sveglia che mi ricordava gli obblighi lavorativi credo sarei rimasto per sempre avvolto nelle lenzuola. Per fortuna le parole della mia migliore amica, e l’aiuto di mia sorella, mi permisero di incontrare il terapista che, sul finire della seduta disse «quando tocchi il fondo c’è un’unica azione che puoi compiere: risalire. Ora sei pronto per tornare alla vita, e la prossima volta che ci rivedremo sarà per farci un birra». Poco prima delle sue parole pronunciai un intenso «mai più» che mi diede una scarica di adrenalina come poche altre. La stessa scarica provata stamattina dopo una giornata in cui l’umiliazione mi aveva ridotto a uno straccio.

«Una volta, per meditare, ho passato un giorno intero senza mangiare e una notte senza dormire. È stato inutile, meglio studiare». Confucio

P.S. Sono convinto che le parole “mai più” siano impareggiabili, e che valgano più di qualsiasi consiglio, o tipica frase da social-guru. Valgono più di ogni altra cosa perché provengono dalla persona più importante: me stesso. E auguro, a te che leggi, di arrivare alla consapevolezza ideale per pronunciare un intenso “mai più” perché, in quel preciso istante, il corso della tua vita muterà direzione.

Trois couleurs : Blanc (1994) di Krzysztof Kieślowski

Un pensiero

Un pensiero va ai pomeriggi scanditi da una birra al bar, e alle risate mascoline. Tempi cadaverici di una gioventù sfacciata ancora proiettata alla spensieratezza.

Un pensiero va ai racconti paterni divenuti preziosi più del materiale. Confidenze da padre a figlio, e viceversa, sussurrate tra le mura di un ospedale.

Un pensiero va agli scontri fisici e verbali sul mondo del lavoro, con gli “amici”, i “nemici” e i bulli.

Un pensiero va ai momenti in cui percepisci il cambiamento, e lo metti in atto. Il passato sarà altra cosa, e spetterà solo a te lasciartelo alle spalle. Le decisioni divengono serie; gli errori preziosi. Il passato, tanto quanto i vecchi amici, si fa ricordo, e il presente diviene concreto.

Da ragazzo mi chiedevo cosa significasse essere uomo, essere maschio. Ora cestino le domande, e vivo uno stato. Vivo un pensiero.

Feticismo mattutino

Feticismo mattutino.

Dopo aver attraversato ponte Sarajevo (toh, chi si rivede, ne ho parlato anche QUI), stamattina mi sono imbattuto in cartelloni pubblicitari singolari.

Pubblicizzati con scritte dai font colorati e accattivanti, pezzi di carne da macelleria vengono esposti ai bulbi oculari dei/delle passanti come fossero gioielli o prodotti super esclusivi. Confesso di avere strabuzzato gli occhi, e non perché sia un vegetariano oltranzista.

Il feticismo per il cibo, a mio giudizio, ci sta sfuggendo di mano. Non so se sia dovuto al mondo dei social in cui è ormai impossibile evitare immagini di pietanze, o ai mille programmi televisivi in cui cuochi famosi come star del cinema ci propinano le loro creazioni, sta di fatto che questo continuo martellare di immagini di cibo sta assumendo, sempre a mio modesto parere, un sapore malsano.

E così, mentre cerco di immaginare chi abbia creato questa campagna pubblicitaria, mi domando se, e quando, questo genere di feticismo assumerà le sembianze delle pellicole di Deodato.

Rivalutiamo l’importanza di Cannibal Holocaust, gente. Rivalutiamo il cinema italiano più coraggioso e libero.

Cannibal holocaust lo puoi trovare al seguente link: https://amzn.to/2RN94gg

Robert Kerman in Cannibal Holocaust

Stamattina l’ho incrociato in zona stazione di Belluno

Stamattina l’ho incrociato in zona stazione di Belluno, e mi è parso un fatto strano. Solitamente lo incontro sempre nei pressi di ponte Sarajevo, o lungo la ciclabile che segue il corso del Piave. Addirittura una volta l’ho visto camminare in una rotonda infischiandosene dei camion e delle automobili, e di sera mi è capitato di vederlo zigzagare nella galleria vicino Lambioi ma mai, fino a stamane, in centro città.

Non lo conosco, e nemmeno so quale sia il suo nome. A colpirmi, oltre alla strana borsa di plastica rigida ormai consumata che tiene sotto al braccio, sono la camminata dalle lunghe falcate, e una giacca troppo grande in cui sembra che le maniche vogliano scappare da quel corpo così striminzito.

Ho notato quest’uomo perché lo incrocio almeno due volte alla settimana, sempre a piedi, con la medesima borsa, e quella giacca (per la precisione un piumino) sia con 10° sotto zero, sia con 30° all’ombra. Cammina in silenzio, e spesso sul volto mostra un sorriso triste, quasi spento. E mi incuriosisce. Non mi interessa conoscere il suo nome, e nemmeno la sua storia. Sarei curioso di vedere dove i suoi passi lo portino, e se cammini tutto il giorno per sfuggire ai demoni che lo inseguono perché, anche se certezze non ne ho, l’istinto mi dice che qualcosa lo tallona tanto da spingerlo a non fermarsi mai. Vive un’esistenza dentro un piumino e in lunghe falcate. Percorre ponti e marciapiedi di Belluno sorridendo triste. L’incrocio, lo noto, e in me vivo la dicotomia attrazione/repulsione per tutte le anime in pena.

La Linea – Osvaldo Cavandoli

E cerco di tenere la mente occupata mentre Viscerotica è in fase correzione di bozze. Le giornate si allungano sempre più, e la mia prossima silloge sta per venire alla luce.

QUI la mia prima raccolta di poesie: Di luce e di oscurità.