La mia passione per il cinema

Ho già parlato della mia passione per il cinema (limpido esempio in questo ARTICOLO), e questa volta voglio condividere con voi le pellicole che, in un modo o nell’altro, sono state fondamentali per la mia crescita (la sequenza è casuale, salvo per Bergman). Chissà, magari i titoli vi sono noti e la lista vi fa scattare la molla per riguardare qualche film. O magari le pellicole elencate vi sono sconosciute e questa potrebbe essere l’occasione per scoprire qualcosa di nuovo e particolare.

Se una di queste pellicole vi è cara, sarei curioso di sapere perché vi ha colpite/i..

  1. Il settimo sigillo (Ingmar Bergman, 1957). Una delle tematiche più affascinanti, per il sottoscritto, è la morte, e solo Bergman poteva renderla così affascinante e poetica. Potrei elencare come minimo altre 10 pellicole del maestro svedese, ma Il settimo sigillo è cosa a parte.
  2. Sesso, bugie e videotape (Steven Soderbergh, 1989). Adoro questa storia perché vi leggo una parte di me. Non servono altre spiegazioni.
  3. Trainspotting (Danny Boyle, 1996). Per me è terapeutico, chiarificatore, divertente.
  4. Caro Diario (Nanni Moretti). Moretti sa descriversi con intelligenza e umorismo. Un maestro per me.
  5. Lawrence Anyways e il desiderio di una donna (Xavier Dolan, 2012). Uno dei pochi film capace di farmi saltare sulla sedia mentre ero al cinema, perché? Prova a scoprirlo.
  6. Niente da nascondere (Michael Haneke, 2005). Freddo, tagliente, preciso, profondo come tutta la cinematografia del regista austriaco. Se non l’hai visto, rimedia.
  7. L’uomo che amava le donne (François Truffaut, 1977). Se ti affascina il mondo femminile non puoi non aver ammirato questo gioiello di Truffaut.
  8. La collezionista (Eric Rohmer, 1967). Come nessuno prima e dopo di lui, Rohmer sa descrivere alla perfezione l’animo umano e i rapporti interpersonali. Le sue pellicole mi rapiscono sempre, e La Collezionista è l’apice della sua maestria.
  9. Delitto e castigo (Aki Kaurismäki, 1983). Una memorabile trasposizione del capolavoro di Dostoevskij in una Helsinki moderna e desolata. Il viaggio scarno e pulito nella mente di un omicida.
  10. Ordet (Karl Theodor Dryer, 1955). Un film intriso di religione, e dubbi connessi a esse, come pochi altri. Cosa faresti se tuo figlio si comportasse e parlasse come Gesù Cristo?
  11. Tutto su mia madre (Pedro Almodóvar, 1999). Adoro i drammi, e in questa pellicola Almodovar riesce a rendere tutto sublime. P.S. (per apprezzare a pieno questo film ti consiglio di vedere La notte della prima di John Cassavetes, e Un tram che si chiama desiderio di Elia Kazan).
  12. Racconto di Natale (Arnaud Desplechin, 2008). Un racconto corale di voci e protagonisti magistralmente creati e armonizzati. Da Vedere assolutamente in qualsiasi periodo dell’anno.
  13. Orizzonti di gloria (Stanley Kubrick, 1957). Certamente è tra i film meno conosciuti del regista ma, a mio avviso, assieme a Il dottor Stranamore (ovvero come imparai ad amare la bomba atomica) il migliore. Un inno antimilitarista. Uno dei finali più belli della storia del cinema.
  14. Tutti giù per terra (Davide Ferrario, 1997) Mi diverte sempre, e comunque, perché rivedo la mia gioventù; i miei timori; le mie paure; la mia incazzatura col mondo (ho parlato anche del romanzo di Culicchia da cui è tratto, LEGGI QUI).
  15. L’estate di Kikujiro (Takeshi Kitano, 1999) nonostante i film sulla mafia giapponese di Kitano mi facciano letteralmente impazzire, la dolcezza sbarazzina e la cruda poetica di questo film lo pongono in cima alla lista del grande comico e cineasta giapponese.
  16. La sfida del samurai (Akira Kurosawa, 1961). Conosci Per un pugno di dollari di Sergio Leone? Si? Bene, sappi che è un remake di questa divertente pellicola di Kurosawa e, come amava dire il cineasta giapponese “ho inventato lo spaghetti western con 8 anni di anticipo”.
  17. L’assassinio di un allibratore cinese (John Cassavetes, 1976). Il miglior film di Cassavetes, a mio giudizio, è Faces, ma la figura di Cosmo Vitelli ti entra dentro, c’è poco da fare, e l’aura malinconica del suo locale di spogliarelliste è stupenda.
  18. Stalker (Andrej Tarkovskij, 1979). L’apice dell’arte cinematografica e della filosofia. Se non l’hai visto ti sei perso/a uno dei capolavori della settima arte.
  19. Film Bianco (Krzysztof Kieślowski, 1994). Ero indeciso tra questo titolo e Cineamator, ma ha vinto il secondo film della serie dei colori. Una storia d’amore incredibile e unica, da rivedere 1000 volte.
  20. Clerks (Kevin Smith, 1994). Irriverente, divertente, sfacciato. Semplice, ma potente.

Un uomo solo

Rubo questo scritto altrui sperando susciti riflessioni. Lo rubo perchè mi paice anche se non lo condivido fino in fondo.
P.S.: leggete BLUE HOTEL, è un molto interessante 🙂

BLUE HOTEL

Mentre guardi un porno nella luce bassa del tuo appartamento sei da solo.
In una zona interessante di Roma, come in un borgo di campagna sull’Appennino dell’Emilia Romagna.
Sei un personaggio famoso, o, un uomo interessante per i più.
Praticamente assente.
Rifuggi il mondo.
L’immagine di te. Non la sai.
Hai solo uno specchio fissato troppo in alto nel bagno e uno chiuso nell’armadio pieno di coperte e pochi abiti pressoché uguali.
Sei solo chi sei.
Sei solo.
Love will tear us spart.
Perché la camera da letto è così fredda?
Girato dalla tua parte
Il mio tempismo è così imperfetto?
Il nostro rispetto è così secco?

Pensi a un’altra-in-teoria, e non pensi nemmeno davvero a quest’altra che esiste solo come idea, di un passato, morto, morde come un torto. Le ragazze aperte sul monitor mostrano gli organi interni ed è solo un automatismo che ti porta a…

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è all’imbrunire

È all’imbrunire

quando i veicoli solcano l’aria

che mi sento silente.

Magari lì fuori si inventano nuove monotonie cicliche,

magari si scoprono nuove armonie chimiche;

ma io silenzio.

La poesia è per le anime solitarie,

dicono,

ma smentita dimora nella mia mente:

crogiolo di voci mute.


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Oppure richiedimi una copia, sarò felice di farti una dedica, ti aspetto! 🙂

Cosa c’è di bello a Miane?

Cosa c’è di bello a Miane? È una domanda a cui non riesco a rispondere. Attrattive turistiche ce ne sono poche, salvo la natura. Quindi, se non sei disposto/a a faticare, il bello finisci per ignorarlo, e ti ritrovi a guardare un paese anonimo come tanti.

Amici e conoscenti rimangono sempre interdetti a queste mie parole, ma è così.

In mia difesa però posso dire quanto sia bella Miane d’autunno – per la precisione nel periodo compreso tra il post-vendemmia e i primi giorni d’inverno.

Nelle giornate serene, in cui il sole si dimostra clemente, i boschi e le viti si vestono con colori caldi e ti rapiscono lo sguardo col loro manto fatto di sfumature verdi e rossicce. In quelle giornate ti sembra di camminare all’interno di un giardino creato su vasta scala.

E che dire dei suoi boschi? Li ho percorsi in lungo e in largo sia di giorno, sia di notte; col sole, e con la pioggia; durante le nevicate, e quando le nuvole scendevano a valle senza remore serrandomi all’interno di una cinta grigia e impalpabile. Sì, i suoi boschi sono stupendi, soprattutto quelli di castagni (sono ghiotto di marroni e castagne e sin da bambino mi diverto a raccoglierle).

E poi ci sono i monti. C’è stato un periodo in cui, uscito da lavoro, mi preparavo un pasto veloce e poi salivo al Monte Crep per consumarlo ammirando il tramonto farsi notte. Mi piaceva vedere la pianura veneto-friulana illuminarsi, e percorrere il tragitto di ritorno accompagnato dai raggi lunari o dl chiarore delle stelle con in sottofondo i versi degli animali notturni.

Quegli stessi monti che, se sai quando è il momento giusto per salirci, riesci a stupirti per il panorama che ti si presenta davanti. Una vista che si estende dai Colli Euganei fino alle coste dalmate, con una tappa intermedia (e doverosa) sulla laguna veneta in cui, grazie ai raggi solari, risplende la cupola di San Marco.

Lo so, ma in concreto, cosa c’è di bello a Miane? È difficile rispondere. È il mio paese natale, e i molti ricordi annebbiano il giudizio. È come un dente un poco guasto: se lo lasci tranquillo dimentichi la sua presenza, ma se vai a stuzzicarlo con la lingua è capace di farti patire le pene dell’inferno. E Miane è così, se scavo troppo a fondo nella sua bellezza finisco per trovare anche il marcio. Ma in questo momento voglio dedicarmi al bello, e tralascio le storie oscure.

Comunque, se devo rispondere alla fatidica domanda con un luogo fisico specifico, faccio il nome di un’attrattiva celata nel bosco e a cui si arriva con una bella scarpinata (ed è una fortuna così in pochi la raggiungono): il Pont de la Val d’Arch. Cos’è? Ti basta guardare la fotografia scattata qualche anno fa, vale più di mille parole.

Pont de la Val d’Arch

E di bello, a Miane, c’è l’atmosfera silenziosa tipica delle nevicate abbondanti (ahimè sempre più rare). Camminare nel bosco e sentire quel magico crepitio prodotto dagli scarponi sulla neve fresca. Guardare il mondo fermarsi per lo stupore, e sentire il rumore dei rami spezzati dal troppo carico.

E c’è molto altro ancora. Luoghi, poco frequentati, che conservo per me perché custodi di ricordi. Se un giorno dovessimo trovarci di fronte a una birra potrei raccontare aneddoti degni di essere ascoltati. Storie di personaggi assurdi, e situazioni esilaranti; momenti tragici, e figure quasi epiche.

A Miane c’è questo e altro, ma cosa ci sia di (a)effettivamente bello ancora non l’ho capito, e forse è giusto così.

Piccola curiosità: il grande poeta Andrea Zanzotto dedicò una poesia a Campea (una delle frazioni di Miane) e, se fosse vivo, senza troppi giri di parole gli chiederei: «’scolta qua Andrea, caxo atu vìst de bel a Campea? Spiegame ‘n pòc parchè mi son teston».


782 €

782 €, questo il valore di una vita. La valutazione non è mia, ma proviene dalle grida al di là dalla parete. Impossibile evitare la discussione urlata. Il muro non può nulla.

Tu mi devi 782 € dammeli o ti apro la testa in due. Io ti ho pagato guarda i bonifici. Ti abbiamo mandato più di una lettera proprio perché quei soldi non sono mai stati versati ma tu fai finta di non vedere e sentire sei una merda. Chiamo i carabinieri. No li chiamo io.

E poi inizia il balletto delle telefonate. Uno telefona alle forze dell’ordine chiarendo di essere sotto minaccia. L’altro chiama le forze dell’ordine chiedendo aiuto prima di commettere l’irreparabile. Venite a fermarmi o gli spacco la testa.

Alla fine vince il buon senso e il minacciante decide di presentarsi in caserma per sporgere denuncia contro chi, a suo dire, non l’ha pagato per il lavoro svolto. La porta dell’atelier si chiude, e la tensione si smorza. Forse il dramma è morto ancor prima di nascere.

E la cifra continua a martellarmi in testa. È vera, reale, posso toccarla con mano. Non è una somma tipica da film o romanzo criminale a cifre tonde e scandita da zeri. No, 782 è un numero che pulsa come sangue nelle vene. È adrenalina. 782 € per vivere o morire, per trascorrere il resto della vita dentro o fuori una cella. È sconvolgente. Ognuno dei due pronto a difendere la propria causa, e sfidare il destino, per una somma irrisoria. Lo so, c’è gente che campa mesi con quella cifra centellinando ogni spicciolo ma, sia in un caso sia nell’altro, è conveniente rovinarsi l’esistenza per così poco? È un prezzo accettabile per marcare la propria vita, e quella altrui, in modo così netto? La disperazione è tutto, sia chiaro, fuorché razionale, come lo è l’attaccamento morboso per i soldi, ma un limite c’è. Sempre.

E la mia fantasia crea immagini e pensieri. E se dall’altra parte della cornetta ci fosse stato un carabiniere o un poliziotto meno capace, l’impiegato del minacciato avrebbe ripreso col telefono l’accaduto, o sarebbe corso in aiuto del titolare? Sì, perché non appena il richiedente dei soldi è apparso all’orizzonte, la prima frase detta da colui che rischiava di subire il danneggiamento della testa è stata: riprendi tutto. È un’ammissione di colpa implicita? Chiaroveggenza? Intuito? Lascio, a te che leggi, fare congetture, la mia idea la tengo per me.

Un’ultima domanda però mi sorge spontanea: cosa avrebbero fatto entrambi con quella somma? L’energia emotiva associata ai 782 € è troppo intensa. Spendere quella cifra per qualcosa di banale sarebbe un “delitto”.

O forse è proprio la banalità, l’insignificante, a generare una tragedia mancata proprio perché, alla base di tutto, il pensiero critico non è pervenuto.

Quando scoprii lo yoga

Quando scoprii lo yoga, in uno dei libri letti sul tema, si accennava al fatto che, nel proseguimento costante della pratica, il desiderio di cibarsi di carne bianca e rossa si sarebbe affievolito fino a sparire. Da carnivoro qual ero, rimasi interdetto leggendo tali parole ma, con lo trascorrere delle settimane e della pratica costante, mi accorsi di acquistarne sempre meno, fino a eliminarla completamente dalla dieta. Credo siano passati almeno 7 anni da allora, e i cambiamenti fisici e mentali li percepisco a pieno ora. Un mutamento che apprezzo giorno dopo giorno. Ma la storia che voglio raccontare è un’altra, e il preambolo mi è servito per raccontare le ultime vicende alimentari.

Belluno, zona Baldenich. Tra mercoledì e venerdì aiuto il mio titolare nella posa di una pergola, e le pause pranzo le trascorro proprio nel locale interessato. Una parentesi lavorativa nuova e interessante, segnata dal piacere e dalla soddisfazione del lavoro fisico in compagnia di altre persone dalle esperienze professionali più disparate.

Mercoledì, poco prima di mezzogiorno, una delle cameriere esce a chiedere che tipi di panini vogliamo. Formaggio e mortadella per uno. Due con prosciutto e formaggio. Per me uno senza carne, rispondo sorridendo. Come lo faccio? Col formaggio, ne sono ghiotto. Ma il formaggio è fatto col latte di mucca voi vegani non potete mangiarlo. Mai detto di essere vegano ho solo chiesto di evitare gli affettati e se vuoi mettermi del salmone sarò doppiamente felice. Te lo faccio vegetariano. Perfetto. E se ne va scuotendo la testa come avessi chiesto dell’oro a prezzo scontato.

Giovedì mi precisa di aver preparato un panino uguale al giorno prima con tono ammonitorio, e venerdì mi becco la titolare. Volete la salsa rosa con i panini e i toast, chiede a tutti. Per me no grazie, il panino va bene così. Lo domando perché con voi vegetariani non si sa mai. (…) La guardo, sorrido, e mi domando se i vegetariani boicottino con ardore la salsa rosa.

Arrivato a casa faccio una ricerca in rete ma non trovo nulla. Il dubbio mi assilla tanto da generare veri e propri viaggi mentali in cui sfilano cortei di nazi-vegani/vegetariani brandire cartelli con scritto: al bando la salsa rosa simbolo opprimente della massa carnivora. Liberiamoci dall’aggressione carnivoro-borghese. No salsa rosa. Tutto questo solo per aver chiesto un panino senza carne. E questa è una delle tante vicende che mi capitano quando mangio fuori casa. Ci ho tatto il callo, ma qualche domanda me la pongo ogni volta. Intanto la veranda con pergola è venuta una meraviglia, e i pensionati (durante e nel post cantiere) hanno fatto i complimenti per il bel lavoro, e nessuno di loro ha avuto da ridire a riguardo la mia dieta personale. Continuo a fare yoga ogni mattina, e l’odore di carne morta continua a darmi fastidio. Ma voi, la mangiate la salsa rosa? E la carne? Vi è mai capitata una situazione simile? E soprattutto, ce l’avete un pensionato che vi fa i complimenti per il lavoro svolto?