La scuola?

La scuola? L’ho sempre detestata. Era un’istituzione che, per il sottoscritto, doveva essere cancellata dalla terra seduta stante.

All’asilo scappavo perché volevo tornare a casa dalla mia sorellina. Alle elementari avevo il terrore della maestra e spesso fingevo di dimenticare a casa la cartella per tornare sui miei passi. Le medie sono state un buco nero di insulsaggine e apatia. Le superiori le ho amate solo alla fine (tanto da averle prolungate di altri 2 anni). Per farla breve, non ero quello che si definisce uno studente modello.

Tornando ai pochi anni buoni di quel periodo, potrei stuzzicarvi l’appetito raccontando qualche marachella, o bricconata, ma temo che i reati in questioni non siano ancora caduti in prescrizione e, con cognizione di causa, sorvolo facendo finta di nulla. In alternativa potrei spiegare le cause delle due bocciature, ma sono fatti di normale amministrazione e rischierei di annoiarvi con le classiche beghe alunno/insegnanti. Oppure potrei dedicare questo spazio alla professoressa di inglese del quarto anno, ed è proprio quello cha farò.

Inizio così, senza troppi giri di parole. La suddetta insegnante aveva una qualità: era maggiorata. Si portava appresso una sesta con molta nonchalance, e il mio pensiero (e lo sguardo) era sempre rivolto alle due gemelle. Rappresentavano la mia Eldorado — e non fate i bacchettoni/e, sono una persona genuina, dico pane al pane, vino al vino, e tette alle tette; questo blog è mio e scrivo ciò che mi pare e piace!

Fatto sta che la professoressa in questione prese a cuore la mia rabbia giovanile e a volte, durante la lezione, mi invitava a prendere la sedia e accomodarmi accanto a lei alla cattedra. Ero in paradiso. E a rendere ancora più speciali quei momenti era il fatto che mi chiamasse per nome (mai per cognome come facevano compagni e professori). E io stavo lì, tra il beato e il rincoglionito, a rispondere alle sue domande mentre il resto della classe svolgeva qualche esercizio.

Perché giri coi jeans strappati. Perché li preferisco così. Che musica ascolti. Il grunge. Hai problemi a casa. Ho un unico problema: la vita. E via con una serie di domande a cui rispondevo sinceramente cercando di non far cadere l’occhio proprio sulle gemelle (problema che mi affligge tutt’ora con le maggiorate e non) sentendo in sottofondo il brusio dei compagni che avrebbero pagato oro per essere seduti al mio posto e ricevere le attenzioni della bella professoressa.

E poi un giorno, dopo la classica lista di domande a cui seguivano risposte preconfezionate, e nel mentre i miei occhi decisero di assecondare la legge di gravitazione universale cascando dove dovevano cascare, la professoressa ebbe l’ardire di chiedermi come trascorressi i pomeriggi, e perché studiassi così poco. Cosa risposi? Fischiettai. E non un motivetto a caso. Decisamente no. Fischiettai la sigla di una serie tv molto in voga in quegli anni, e mi feci una grassa risata sotto ai baffi. Tranquilli/e, se la curiosità vi prude con la stessa intensità con cui mi prudevano le mani quando sedevo accanto alla bella maggiorata, vi basta cliccare sul tasto play del link sottostante, e viaggiare con la fantasia 😉

Le scarpe bianche — In punta di dita

Quando entri in carcere ti porti dietro quell’aria sorniona di libertà, quel semitono presuntuoso nel fare le domande, quella voglia inspiegabile di sapere, di gettare lo sguardo oltre il cancello. Quando entri lo fai sapendo di poter uscire e pensi che quella sia la sola differenza che conta veramente. Ma quando varchi la soglia ti […]

Le scarpe bianche — In punta di dita

Condivido questo articolo, racconto, pensiero (chiamatelo come più vi aggrada) di un’amica molto speciale. Perché mi piace? Arriva dritto al punto, ma con leggerezza, proprio nello stile di Francesca. E qui mi fermo o rischio di tessere troppe lodi alla diretta interessata 😀

Cliccando sulla X verrete catapultati/e verso l’intero articolo. Se cliccate sopra l’immagine delle scarpe andrete direttamente al blog 😉

Oggi mi dedico a elencare le cose preferite, e non

Oggi mi dedico a elencare le cose preferite, e non.

Cose che non mi piacciono:

  • Gli estremisti
  • Il politicamente corretto
  • Il radicchio (soprattutto quello rosso)
  • Il melone
  • L’ananas (lo detesto)
  • I ragni (ho il terrore)
  • Le “maestrine”
  • I cazzari
  • I libri gialli/thriller (salvo rare eccezioni)
  • La Panda
  • Il sesso triste
  • Gli assembramenti
  • Le scorciatoie
  • Nel mio fisico: il neo sul braccio sinistro
  • Alzarmi tardi dal letto
  • Tom Hanks
  • L’immobilità
  • Le chiacchiere a vuoto
  • Il traffico
  • L’assenza di verde
  • I falsi miti
  • I/le radical chic
  • Passare sopra a un fiume

Cose che mi piacciono:

  • La montagna
  • Il sesso
  • Correre col buio per godere del silenzio e dell’incontro con gli animali selvatici
  • Gli estremi
  • L’erotismo
  • La complicità
  • Il caffè amaro
  • Il formaggio
  • Il pane
  • Le castagne
  • Camminare nel bosco sotto la pioggia
  • Fare il “mona” (per usare un’espressione veneta)
  • Andare al cinema
  • Il cinema in generale (soprattutto quello d’autore)
  • Il cinema di: Nanni Moretti, Eric Rohmer, Aki Kaurismäki, Ingmar Bergman, Pedro Almodovar, Takeshi Kitano
  • Yoga
  • La politica (anche se in certi momenti la detesto)
  • Le donne sincere e schiette, intelligente e argute
  • I drammi
  • Yukio Mishima
  • Il mare d’inverno
  • L’autunno
  • La scrittura (soprattutto per fare chiarezza con me stesso)
  • I colori: rosso, marrone, verde, grigio
  • Nel mio fisico: occhi, il neo sulla caviglia destra
  • Heavy metal e rock
  • La lettura
  • La filosofia orientale
  • Lo splatter
  • Reinventarmi
  • Il sorriso e lo sguardo di mia nipote
  • Stilare liste (lo faccio spesso)
  • La comicità, soprattutto quando è scomoda
  • Le tette (il mio unico e grande amore, assieme al caffè)

Sicuramente ho dimenticato molte cose, altre le ho omesse volutamente.

E voi, cosa amate o detestate?

foresta del Cansiglio

Oggi piove

Oggi piove, e l’aria è carica del gelo dovuto alla neve che arriverà. Lo so grazie alla solita sensazione lungo la spina dorsale. Il mio sensore personalizzato che indica cosa accadrà.

Oltre alla pioggia ci sono degli operai, dalla parlata trevigiana, al di là della vetrata. Fanno battute concernenti i frequentatori del Piave.

«I và in xerca de capełoni» e, sentendoli ridacchiare, la voglia di chiedere loro come facciano a essere così informati sulla materia, è tanta. Parlate per esperienza? Ma lascio perdere e ascolto le battute di basso rango a cui seguono risate forzate. Sentire lo straziante sarcasmo, e quel falso divertimento, mi stimola un unico pensiero: gettarli di peso nel Piave – ogni tanto mi scatta la sana violenza, è uno dei molti pregi che tendo a nascondere.

Ora si trovano sopra la mia testa, intendo al piano di sopra, e sistemano sedie e arredo per i vari uffici. Allestiscono una nuova realtà prossima all’apertura. E se salissi per immortalarli in una fotografia da caricare sul blog e dare così un impatto visivo a queste parole? Temo però, udite mio malgrado le battute con cui hanno riempito la mattinata di riferimenti fallici, sarebbero capaci di abbassarsi i pantaloni per mostrare la mercanzia e dare il tocco finale alla goliardata. Magari assumendo le stesse pose tenute dal sottoscritto, ‘l Dur, e J. C. di Pittsburgh qualche anno fa.

Siamo sulla A27, precisamente all’aera di sosta Piave Ovest, muniti di una macchina fotografica usa e getta, e in preda ai fumi dell’alcol. Stiamo tornando a casa dall’ennesimo concerto metal (non ricordo quale purtroppo) e nelle nostre menti annebbiate risuonano gli echi delle note metalliche. Ci facciamo una birra (giusto per mantenere il livello di sbronza), e ci sfondiamo con quello che in veneto amiamo definire panìn onto. J. C. di Pittsburgh emette un rutto degno di un a solo di Mike Terrana e controlla l’indicatore dei fotogrammi rimasti a disposizione. Carica la macchinetta e insiste per farci una foto stipati dentro la cabina telefonica. Esaltati dall’alcol eruttiamo la brillante idea di imprimere sulla pellicola sederi e testicoli lì, in una triste stazione di servizio alle 3 di notte urlando contro Satana e i camosci.

E poi le risate. Scoppiano fragorose e irresistibili – non come quelle degli operai sopra la testa. Le nostre sono sane e alcoliche, divertite e spensierate. Le risate esilaranti di chi immagina la faccia che farà lo sfortunato sviluppatore del rullino.

Era una notte nei primi anni del 2000 e, come oggi, l’aria era fredda e piovigginava un po’. Il metal era una costante di molte serate e noi, come bambini discoli, esibivamo i gioielli di famiglia fregandocene del mondo imprigionato fuori dalla cabina telefonica.


P.S. oggi comunque non piove, questo racconto l’ho scritto ieri


a proposito di Mike Terrana… inconfondibile alla batteria