Storia di Lina

Ieri mattina ho bevuto un caffè, scambiando qualche chiacchiera, in un’osteria che stasera chiuderà in modo definitivo dopo una storia lunga 100 anni.

Ho scritto un articolo che parla di Lina, e di come siano destinati a spegnersi i piccoli paesi di montagna.

Se volete conoscere la storia di questa ragazza potete leggere l’articolo cliccando QUI

Caldo Natale

Lo spirito natalizio è qualcosa di distante da me per tanti motivi. Comunque, per augurarvi delle feste speciali, vorrei condividere questo racconto scelto dalla redazione di Letteratura Horror per la raccolta intitolata Natale horror 2018.

Auguri a tutte e tutti, e buona lettura! 🙂


CALDO NATALE

A Riccardo l’atmosfera natalizia piace. Coi ricordi ritorna alle veglie ansiose in compagnia della sorella. Le corse fuori dal letto. I pacchetti adagiati ai piedi dell’albero. Sono momenti indimenticabili.

«Amore» sussurra Riccardo all’orecchio di Sonia per non farsi sentire dal figlio «voglio che questo Natale sia magico per Carlo. Voglio sia una serata indimenticabile per lui, come lo erano per me».

La moglie gli accarezza il viso e con lo sguardo dice, lo sarà.

«Ecco i primi ospiti» dice Sonia «qualcuno s’è appeso al campanello e pare divertirsi con questo scherzo snervante».

«Zio Utavo» dice Carlo battendo le mani felice per l’arrivo dello zio e per le burlate che solo lui apprezza. Trotterellando incerto nei suoi due anni e mezzo va con la madre alla porta.

«Ecco la mia scimmia» dice lo zio ancora attaccato al campanello. Prende tra le braccia il piccolo e lo fa roteare sopra la propria testa diverse volte; poi lo lascia alle attenzioni degli altri famigliari. Tutti arrivati con puntualità allarmante.

«Per stavolta passi» dice Sonia dando un buffetto sul gomito a Gustavo «ma non farlo più. Ultimamente la piccola fa le bizze ogni notte ed è impossibile chiudere occhio. Se Sabrina dovesse svegliarsi ci pensi tu. Uomo avvisato mezzo salvato!». L’uomo brontola, poi sorride. Sarà un piacere cullarla, pensa.

Cappotti, sciarpe e guanti usati per proteggersi dalla neve vengono ammonticchiati sulla panca d’ingresso, e la famiglia si raduna nella taverna riscaldata da un fuoco vivace e scoppiettante.

«Se qualcuno mi dà una mano fra poco si mangia» dice Sonia facendo segno agli ospiti di sedersi, e Riccardo, stappando la prima di una lunga serie di bottiglie di vino, inizia a servire bicchieri a destra e a manca. Le donne, solidali nel rifocillare gli stomaci vuoti, danno una mano alla padrona di casa servendo i piatti e le pietanze preparate in precedenza.

Allo scoccare delle 20.00 tutti sono seduti al proprio posto pronti per iniziare l’abbuffata. Vengono distribuite pietanze per palati sopraffini, e per stomaci meno delicati. Si svuotano bottiglie con rapidità fulminea, e risate e chiacchiere si susseguono con gioiosità festante.

«Porta a letto la scimmietta» dice Riccardo guardando Carlo ormai ciondolante. Lo prende dolcemente tra le braccia e si avvia al piano di sopra. «Meanote» dice il piccolo senza aprire gli occhi, ricordando così la promessa al padre. Questi gli dà un bacio sulla fronte e risponde meanote. Lo mette sotto le coperte e controlla Sabrina. Dorme beata succhiandosi il pollice.

I dodici rintocchi segnano il momento atteso. La porta della taverna si apre. Carlo entra battendo le mani. «Meanote!».

Le risate sguaiate dei presenti danno al bambino la scusa per saltellare sul posto.

«Fate piano» dice Sonia indicando con il dito il piano di sopra. Si alza felice per la contentezza del figlio, e va a controllare il sonno della piccola.

«Riccardo! Sabrina non c’è più». Il volto sfigurato dall’angoscia l’ha invecchiata di dieci anni in pochi secondi.

Riccardo, balzando dalla sedia le chiede se sia sicura, Magari la bambina è nascosta sotto le coperte. Si muove sempre durante il sonno. Magari…

«Fledo» dice Carlo additando il fuoco nel caminetto «Aina fledo».

Nel marasma generale l’intera famiglia si precipita fuori. Forse la piccola è caduta di sotto. Forse la finestra era aperta. A tre mesi come potrebbe salire sul davanzale, dice Gustavo cercando di far ragionare i presenti. E la neve immacolata ai lati della casa fuga ogni dubbio. La piccola è ancora in casa.

Frugano ovunque. Dentro ogni armadio, sotto ogni letto. Passano in rassegna ogni mobile o pertugio. Di Sabrina nessuna traccia.

«Hai lasciato sul fuoco qualcosa?» chiede zia Ernestina. Ci manca solamente scoppi pure un incendio, pensa preoccupata.

«No» dice Sonia terrorizzata girandosi verso il marito.

«Aina fledo, buò atale» dice Carlo battendo le mani. E saltellando sul posto, indica la stufa con il portello dimenticato aperto.


Ehi! Ho altri racconti da farvi leggere, cliccate QUI

E la poesia vi piace? Si? Bene, cliaccate QUI allora!

Crash

Vi è uno strano rapporto che lega noi esseri umani all’automobile. Una simbiosi capace di influire sulle scelte economiche degli Stati industrializzati (vedasi le manovre per sostenere i mercati di settore) o di modificare il nostro modo di vivere e di conseguenza la percezione della realtà. L’automobile è, per antonomasia, il veicolo simbolo di mobilità e libertà (effimera), ed è naturale che questo legame facesse capolino anche nella letteratura investendola con la sua irruenza.
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È il 1973, e James G. Ballard pubblica Crash, romanzo capace di descrivere -meglio di altri, a mio avviso- la morbosità del rapporto uomo/automobile. Il mezzo meccanico, in Ballard, diviene un prolungamento del corpo umano tramutandosi in veicolo per la ricerca del piacere sessuale, e i personaggi alienati, che popolano questa storia, aspirano con frenesia allo scontro automobilistico per raggiungere l’eccitazione. Il mondo di Crash è freddo e meccanico, ma capace di sprigionare pulsioni talmente forti da tramutarsi in veri e propri scontri e l’uomo moderno, decritto da Ballard, si tramuta in involucro vuoto alla continua ricerca di riempimento. L’automobile, per paradosso, diviene il mezzo con cui i personaggi “scoprono” la propria esistenza scontrandosi con le proprie pulsioni.

«In tutto il libro ho usato l’automobile non solo come simbolo sessuale, ma come metafora totale della vita dell’uomo nella società odierna. […] Il fine ultimo di Crash, inutile dirlo, è quello di monito, di messa in guardia dal mondo brutale, erotico e sovra illuminato, che sempre più suasivamente c’invia il suo richiamo dai margini del paesaggio tecnologico»¹.

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J.G. Ballard

Un paesaggio tecnologico, quello descritto da Ballard, talmente presente nel concreto e nell’immaginario da stravolgere la percezione dell’esistenza stessa. Un paesaggio in cui la tecnologia è l’unico mezzo per raggiungere emozioni e piaceri fisici. Fotografia, quanto mai attuale, del presente dominato dai social-network.

¹ Ballard J.G., Crash, postfazione 1974, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano, 2014

Curiosità:

Rimanendo in tema di scontri automobilistici, vi sono due illustri scrittori morti per le conseguenze di incidenti stradali.

  • Italo Svevo (alias Ettore Schmitz) morì il 13 settembre 1928 per complicazioni sopraggiunte dopo uno schianto dell’automobile, su cui viaggiava con dei familiari, contro un albero a lato della carreggiata nei pressi di Motta di Livenza (TV).
  • Sorte simile toccò ad Albert Camus il 4 gennaio 1960 nei pressi di Villeblein. L’auto su cui viaggiava il premio Nobel, in compagnia dell’editore Henry Gallimard e della moglie e della figlia di quest’ultimo, sbandò per la velocità eccessiva schiantandosi contro un platano.

Nel 1996 David Cronenberg dirige una pellicola, scrivendone anche la sceneggiatura, tratta dal romanzo Crash con cui vince il Premio della giuria al Festival di Cannes. A vestire i panni del Ballard protagonista della storia troviamo James Spader.

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E per rimanere in tema di incroci tra cinema e letteratura, David Cronenberg recitò a sua volta in Cabal (titolo originale Nightbreed), film horror del 1990 diretto da Clive Barker e tratto dal proprio romanzo.

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David Cronenberg e Craig Sheffer in una scena di Cabal