Panni stesi

Caldo. Molto caldo. La mia mente lo associa a Venezia. Biennale d’Arte Moderna. Ho voglia di andarci. Non in questo periodo.

Poi scatta un’altra associazione di idee: panni stesi.

Poco prima dei Giardini della Biennale, se si raggiunge l’esposizione a piedi, si vedranno questi famigerati indumenti stesi ad asciugare.

Ovviamente la composizione varia, ma il ricordo del filo steso tra due palazzi, con dei capi di vestiario appesi, è un’immagine nitida. Un ricordo vivo.

Più delle opere esposte, più degli artisti presenti, quei panni sono entrati nel mio immaginario, e in questo pensiero semplicistico, mi domando se l’immagine di quella calle, così nitida e prepotente, sia dovuta alla bellezza del gesto semplice, e comune a tutti. Inoltre mi chiedo se l’Arte esposta nella sua massima espressione,  in questo strano confronto, ne esca sminuita tanto da risultare inutile.

Ma è proprio nell’inutilità che risiede lo scopo ultimo dell’Arte.

E come Nan-bo Zi-qi che, trovandosi al cospetto di un albero imponente, chiedendosi a cosa potesse servire avendo questi un tronco nodoso inutilizzabile per costruire bare, e rami tanto curvi e nodosi da non poterli usare come travi o tetti, posso solo esclamare Quest’albero è davvero inutilizzabile! Per questo ha potuto raggiungere tale altezza. Già! L’uomo divino è anche lui null’altro che legno inutilizzabile![1]

Note: [1] Zhuang-zi, Adelphi 2013, pag.46, a cura di Liou Kia-hway

Giustizia all’immagine

Qualche tempo fa, in un locale pubblico, mi sono trovato frontalmente ad un apparecchio televisivo.

Fascia oraria serale.

Telegiornale di punta.

Audio azzerato.

Solo immagini in un continuo susseguirsi.

Zoomate discutibili, riprese in esterno di palazzi assai inutili, primi piani di volti sterili.

Se l’occhio è completamente conquistato, non dare nulla o quasi nulla all’orecchio. Non si può essere contemporaneamente tutto occhio e tutto orecchio [1]

Nei telegiornali vengono privilegiate le parole a scapito delle immagini: un controsenso.

Se si vogliono parole è preferibile la radio, è meno caotica; oppure si legga un giornale, è più approfondito e permette di decidere il tempo da dedicare ad una notizia.

Ho assistito ad immagini disturbanti, sia per l’impostazione delle inquadrature, sia per il montaggio. In parole povere: trasmissione del disagio.

A che pro trasmetterle, mi chiedo.

L’immagine è un’impressione della verità sulla quale ci è concesso gettare uno sguardo con i nostri occhi ciechi. L’immagine incarnata sarà veridica se in essa si coglieranno i legami che esprimono la verità e che rendono tale immagine unica e irripetibile come la vita stessa, anche nelle sue manifestazioni più semplici. [2]

Non pretendo i telegiornali vengano girati come opere d’arte, ma che il modo di visualizzare immagini venga modificato, penso sia legittimo.

L’immagine dovrebbe esprimere i fatti, o almeno coglierne l’essenza più veritiera, senza il sostegno delle parole. L’immagine dovrebbe bastare a sé stessa. Rendiamole giustizia!

giustizia all'immagine

Note:

[1] Robert Bresson, Note sul cinematografo, pag. 57, Marsilio Editore 2008

[2] Andrej Arsen’evič Tarkovskij, Il cinema e la ricerca dell’assoluto, pag. 183, BUR 2012